(A firma di Nicola Facciolini) –

Nella massa rocciosa del Gigante che dorme, presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Lngs-Infn), è installata da anni un’avveniristica Stazione Interferometrica Laser, per lo studio delle deformazioni crostali e dei terremoti, che ha finora prodotto ottimi risultati scientifici a livello internazionale. È un telescopio puntato verso la Terra. Strumentazioni uniche al mondo. Le sofisticate apparecchiature geofisiche sono in grado di studiare i movimenti terrestri locali con una sensibilità altissima. E possono fornire un contributo fondamentale alla ricerca scientifica, sia per la verifica dei modelli della Terra sia per lo studio dei meccanismi di origine dei terremoti normali e di quelli “lenti”. Auscultare il cuore della Terra e la roccia su cui viviamo, si può fare. La Terra è viva, il suo cuore batte di energia nucleare (decadimento radioattivo) ed elettro-magnetica. In Italia siamo letteralmente “strizzati” da placche tettoniche e faglie altamente pericolose,è ora che il diritto, i politici e gli amministratori pubblici se ne rendano definitivamente conto nel governo delle nostre città. Gli scienziati fanno già il loro dovere che non è di natura “profetica” ma scientifica ed economico-finanziaria nel reperimento dei fondi necessari ai loro esperimenti galileiani. I nostri ricercatori e scienziati lavorano in Italia e in tutto il mondo sotto la costante e vigile “verifica” della comunità scientifica internazionale che applica il metodo galileiano. A loro volta, i nostri scienziati vengono chiamati in tutto il mondo per “verificare” il lavoro dei loro colleghi. Così lavora la scienza.
Ai prof. W. Marzocchi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), al prof. L. Crescentini, realizzatore della stazione interferometrica dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, al prof. R. Scarpa, responsabile del progetto UNDERSEIS, sono state poste le seguenti domande:
Cosa misurano gli interferometri laser del Gran Sasso?
Prof. Crescentini: gli interferometri ospitati in due gallerie minori del Laboratorio sotterraneo misurano cambiamenti di distanza anche più piccoli di un milionesimo di millimetro su una base ampia. La sensibilità non dipende dal tempo caratteristico del cambiamento di tale distanza: questo permette di registrare fenomeni “veloci” come il transito di onde sismiche, ma anche fenomeni deformativi “lenti” quali le “maree terrestri”, indotte dall’attrazione gravitazione della Luna e del Sole che hanno un’origine analoga alle ben più note maree marini, o le variazioni stagionali dell’altezza della falda acquifera del massiccio del Gran Sasso o ancora le oscillazioni libere della Terra.
È normale la sequenza sismica del Gran Sasso?
Prof. Marzocchi: per adesso SI, è una delle zone dove ci si aspettano aftershock più forti.
Quindi, in questa prospettiva nulla di anomalo.
Ciò non vuol dire che il pericolo è zero, l’Abruzzo è diventata una delle aree più probabili per futuri terremoti forti.
Cos’è il progetto UNDERSEIS, o meglio Antenna Sismica Sotterranea del Gran Sasso?
Prof. Scarpa: è un sistema formato da venti stazioni sismiche ad elevata sensibilità concepito per lo studio dei processi dinamici attivi nella regione appenninica. I dati sono utilizzabili solo ai fini di prevenzione, per caratterizzare la sismicità di un territorio e non per la previsione.
Questa rimane ad oggi solo un obiettivo di ricerca coronato più da insuccessi che da successi.
Cosa ha causato i maggiori danni all’epicentro del sisma?
Prof. Marzocchi: il danneggiamento nella zona epicentrale è determinato, oltre che dalla grandezza del terremoto (e quindi dalla magnitudo) anche dalla direzione di propagazione della rottura e dalla geologia dei terreni. In particolare, i danni maggiori si osservano nella direzione verso cui si propaga la fagliazione (effetto di direttività della sorgente) e vengono amplificati nelle aree dove in superficie affiorano sedimenti soffici, quali depositi alluvionali, terreni di riporto, ecc. Nel caso del terremoto di L’Aquila, la rottura associata all’evento del 6 aprile si è propagata dal basso verso l’alto (quindi verso la città di L’Aquila) e da nordovest a sudest, verso la Valle dell’Aterno.
Esiste correlazione statistica tra il radon e i terremoti?
Prof. Marzocchi: la correlazione statistica tra il radon e i terremoti, non esiste.
Non c’è nessuna indicazione su come si stima l’epicentro e la magnitudo del terremoto. Questo punto è molto importante poiché ha poco senso prevedere terremoti piccoli. La cronistoria riporta molte affermazioni “forti”, come quella relativa ad un esperimento di previsione dei terremoti giudicato come “riuscito perfettamente”. Purtroppo, non c’è nessun dato o grafico che giustifichi questo entusiasmo.
L’impressione che si ricava dai pochi dati disponibili, è che la stragrande maggioranza delle variazioni siano compatibili con quelle tipiche di un processo casuale di Poisson (che caratterizza i decadimenti radioattivi).
Sulla base dei documenti presentati non si può certo escludere che il radon possa essere (in futuro) utilizzato come precursore, o che prima del terremoto di L’Aquila ci sia stato effettivamente un picco. Tuttavia si può affermare che, così com’è descritto, il metodo proposto non ha nessun fondamento scientifico.
Come devono vivere questa situazione i teramani?
Prof. Scarpa: per quanto riguarda la situazione di Teramo, ed in generale di tutte le altre regioni sismiche italiane, il mondo scientifico non può dare rassicurazioni ma solo invitare a tener presente che viviamo, per la quasi totalità dell’Italia, in zona a carattere sismico (fortunatamente modesta se rapportata alle regioni della zona circumpacifica). Bisognerebbe prestare maggiore attenzione ai controlli sulle costruzioni ed alla normativa antisismica.
A cosa servono le misure di deformazione crostale operate dal progetto GIGS?
Prof. Crescentini: le ad alta sensibilità delle deformazioni della crosta terrestre sono fondamentali per lo studio di vari fenomeni geofisici, fra cui le oscillazioni libere della Terra, le maree terrestri, gli scorrimenti asismici, le dislocazioni cosismiche e l’accumulo stesso di deformazione.
Negli ultimi anni una nuova tipologia di sisma, i cosiddetti terremoti lenti, sta attirando l’attenzione della comunità geofisica, anche al fine di risolvere il problema del “deficit di scorrimento sismico”.
In breve, gli scorrimenti di faglia associati ai terremoti usuali rendono conto solo di una frazione del movimento relativo delle placche tettoniche. I terremoti lenti possono colmare parte di questo deficit senza la produzione di onde sismiche e, quindi, senza essere rilevati dai sismometri. La rilevanza dei terremoti lenti nei processi sismogenetici, è ancora un problema aperto, ma la loro esistenza e le loro caratteristiche confermano non solo l’ipotesi che i fenomeni di rottura e scorrimento sulle faglie possano avvenire con tempi caratteristici molto diversi, ma anche che la “lentezza” tipica di questi eventi possa essere dovuta sia ad una propagazione lenta della frattura, sia ad una bassa velocità di scorrimento, sia ad entrambe le cause.
Avete calcolato l’aumento di probabilità sismica per L’Aquilano?
Prof. Marzocchi: per quantificare l’aumento di probabilità dovuto allo sciame sismico iniziato a Gennaio 2009, è stata calcolata usando il modello ETAS la probabilità di un terremoto di magnitudo Ml 5.5 o maggiore nell’area epicentrale il giorno prima dell’evento (forecast del 5 Aprile 2009 ore 8:00 AM). Tale stima è riportata con la posizione del mainshock.
In particolare, la probabilità per un terremoto di Ml 5.5 o maggiore per il 6 Aprile in tutta l’area considerata è 10-4 (0.01% se espresso in percentuale). Si può osservare che la probabilità è certamente aumentata rispetto a quanto si poteva stimare in Dicembre prima che lo sciame sismico del 2009 iniziasse, perché ogni terremoto aumenta la probabilità di eventi successivi (sia grandi che piccoli), ma il valore di probabilità per un evento di grande magnitudo rimane molto basso.
Questa caratteristica è piuttosto comune per i modelli ETAS ed è la ragione per la quale non sono usati per “prevedere” i terremoti di grande energia, ma piuttosto per descrivere le sequenze di aftershock.
Cosa significa? Cosa possiamo sperare di “prevedere” in futuro?
Prof. Marzocchi: che, se si interpreta un incremento di sismicità (e conseguentemente di probabilità) paragonabile a quello precedente l’evento principale del 6 Aprile come un segnale “precursore” di un terremoto, possiamo sperare di “prevedere” alcuni eventi di grande energia (non tutti i grandi terremoti sono anticipati da sciami sismici), ma ci si deve anche aspettare di osservare CENTINAIA di falsi allarmi.
Infatti, se le probabilità settimanali sono dell’ordine di 0.1%, significa che ogni mille sciami sismici in media solo uno anticipa di una settimana o meno un grande terremoto.