(A firma di Gloria Capuano, Scrittrice e Giornalista di Pace) –
Sono la persona meno adatta per parlare in chiave critica e non, della recente sciagura
in Abruzzo. Perché io o guardo all’individuo
o all’universo (ma di solito ad entrambe allo
stesso tempo).
Nel primo caso dico che non sono qui per
strappare lacrime. Chi è stato colpito più
direttamente le ha già esaurite. Ma potrei
dire l’esatto contrario, non cesserà mai di
piangere.
Nel secondo caso guardo a una ben
diversa prospettiva che tra il molto altro
intensifica la nausea per gli eccessi
verbali, perché, a torto o a ragione, mi
sembrano del tutto inutili. Ma neppure
questa affermazione mi soddisfa, forse
sceglierei la locuzione: c’è tempo per le
lacrime e tempo per affidare al silenzio
apparentemente inespressivo la riflessione. Qui nel retropensiero vedo con chiarezza delinearsi una grata e ammirata, anche quasi “rabbiosa” invidia. Invidia per
chi è dotato della necessaria forza fisica
che il suo coraggio morale può adoperare;
queste sono le persone che contano, e non
gran parte delle troppo abituali presenze
alla Tv.
M’infastidiscono poi coloro che si dedicano
a tempo pieno alla ricerca del colpevole.
Certo la responsabilità di chi avrebbe potuto costruire meglio in tema di sicurezza è indubbia, ma non so come e in quale misura prevalgano questi potenziali assassini, e quanti sono i casi che rispondono purtroppo al livello medio tecnologico del nostro Paese.
E’ così che compare inevitabile un ben diverso e quanto mai complesso scenario, attraversato da infiniti vettori politici etici economici e criminali.
…I terremoti cinesi…nei quali i grandi numeri si ripercuotono nelle sciagure… o il non lontano tsunami o le calamità frequenti che falciano gli esseri umani come formiche in India o l’assurdo insoluto fatalismo che ha permesso e continua a permettere insediamenti intorno al Vesuvio, quest’ultima, tragedia annunciata per impotente sperequazione tra i bisogni della gente e la possibilità di soddisfarli dei governi. Così andando si finisce per giungere allo stridore impressionante di un globalismo che riesce a globalizzare forse soprattutto la povertà e per ragioni spesso diametralmente opposte.
Anche in buona parte di queste ragioni si cerca il colpevole senza considerare il rovescio di una medaglia che, mentre da una parte vige la robotica spietatezza degli interessi, dall’altra c’è altrettanto forte la necessità di difendersi da appetiti di potere altrui e d’esserne scalzati fino all’annientamento.
Mi pare un circolo vizioso che dimostra l’incapacità della famiglia umana di pilotare il suo destino di specie. Sì, perché se l’intero mondo rinunciasse simultaneamente alle armi, probabilmente sarebbe possibile adoperare la tecnologia non nell’effimero e nel crimine, ma a favore dell’umanità. Questo traguardo potrebbe essere raggiunto non so se in virtù della forza economica o per uno stato di necessità o per l’esistenza di una relazione fraterna tra governanti e popolo o per tutto questo insieme. E penso al Giappone, territorio fortemente sismico dove si è costruito con tecniche antisismiche che si sarebbero rivelate assolutamente efficienti. E soprapensiero mi chiedo se l’aver privato il Giappone- nazione perdente alla seconda guerra mondiale- della disponibilità di un vero esercito, quindi di armi, abbia giovato al prevalere dell’umanità su i cruenti giochi degli scontri tra popoli (sempre se il popolo fosse corresponsabile o null’altro che sicario).
Ebbene noi abbiamo la forza economica d’imitare il Giappone? Si tratta di ricostruire tutto il Paese.
Certo il Giappone sta costruendo razzi (che non necessariamente hanno una finalità bellica) perché muoiono di paura di essere assaliti da altre nazioni anche provviste di bomba atomica.
Ma non stavamo parlando di terremoti e specificatamente di quello in Abruzzo? Non l’ho dimenticato, ma la mia visione è, per scelta e convinzione, olistica, e questo mi porta a riflettere che nulla è risolvibile settorialmente e che non c’è problema umano nel mondo e non c’è possibilità di salvezza per nessuno se non si arriva tutti insieme alle stesse consapevolezze.
E qui entra in campo, sovrana, una informazione diversa, non più faziosa e non solo giornalismo dei fatti ma un giornalismo che punti esclusivamente alla Pace sgretolando certosinamente granello su granello la logica della necessità di difesa. Quindi un giornalismo delle idee sposate al sentimento.
In questa ottica sarebbe utile iniziare a diffondere la cognizione che, nelle more dell’attesa del grande fenomeno evolutivo appena auspicato, si cominci a considerare uniche nemiche dell’uomo le calamità naturali (oltre le patologie) dalle quali urge difendersi. Oso quindi dire, fedele all’idea che l’utopia sia il valore per eccellenza da coltivare, che è tempo di gettare le basi di un impegno mondiale di prevenzione, a difesa dell’umanità, contro i terremoti, più o meno ricorrenti un po’ ovunque anche se con diversa potenza e frequenza. L’Abruzzo potrebbe essere il centro d’irradiazione di questa idea.
Per cominciare tutto il mondo dovrebbe essere invitato a concorrere alla sua ricostruzione non nello spirito della beneficenza e quindi di elargizione di denaro ma in quello dell’utilizzazione a disposizione e vantaggio di tutti delle più avanzate tecnologie abitative antisismiche.
Per un insieme di associazioni mentali ho pensato al più grande centro di ricerca e di produzione francese su e di un particolare cemento e alle molte importanti realizzazioni già da anni con esso effettuate. Visto che il principale imputato dei crolli prodotti dal terremoto in Abruzzo sembra essere il cemento, per fragilità forse fisiologica ma a volte forse criminosa, mi sono chiesta se l’uso del prodotto ideato in Francia (ma coltivato anche negli USA e sicuramente altrove), prodotto che possiede una potenza di circa dieci volte maggiore del comune cemento, non presenti anche garanzie antisismiche. Gli addetti ai lavori sono informati? Si possono avere delucidazioni in merito? Si può sensibilizzare questo grande centro di produzione chiamiamolo del supercemento a partecipare come forza trainante in questa opera di prevenzione?
L’idea non è davvero facile da realizzare su scala mondiale, ma intanto si cominci già da ora a studiarla adattandola alle diverse realtà, mentre l’Abruzzo potrebbe esserne il primo campione dimostrativo. Ma suppongo che molte altre e diverse potrebbero essere le vie da percorrere per neutralizzare certe mostruose insofferenze della natura.
Gli Abruzzesi potrebbero così forse più agevolmente riuscire a trasformare le lacrime in un impegno di realizzazione di questo grande disegno. A me pare di scorgerne numerosi i presupposti, specie tra i giovani.