(A firma di Luisa Stifani) –

Il “fenomeno dei suicidi per la crisi”
è in costante crescita, un bollettino
di guerra: giornali, talk show,
programmi di approfondimento
fanno a gara a chi spiega,
approfondisce o, nel peggiore dei
casi, drammatizza di più. Giorno
dopo giorno, le cronache riportano
nomi, storie, drammi degli
imprenditori che decidono di
togliersi la vita, sopraffatti dalla
crisi.
Da inizio anno 38 vite
spezzate. Un numero non basta,
non è certo, né attendibile. È
ricavato da una raccolta e da
un’analisi di fatti di cronaca
pubblicati, quindi può essere
incompleto o falsato.
Dietro ogni
storia, ogni nome, si nascondono
ragioni profonde, fattori scatenanti
che non vengono analizzati né
tanto meno riferiti.

Ciò che conta è
solo la notizia, ciò che fa notizia è, di
questi tempi, solo la crisi e questo
noi giornalisti lo sappiamo bene.
È questa narrazione distorta che preoccupa
maggiormente Diego De Leo, ordinario di
psichiatria alla Griffith University, in Australia, e tra i massimi esperti italiani di suicidi: “Bisogna evitare l’effetto imitazione – avverte -, che può essere contagioso e può far presa sulle persone vulnerabili”.

Un solo numero non basta anche perché non
consente raffronti con il passato e quindi
impedisce una verifica del trend del fenomeno.
E un numero senza una storia è un numero
senza valore. I dati relativi al 2011 non ci sono
ancora e, se anche ci fossero, non sarebbero
in grado di scorporare il numero effettivo di
imprenditori suicidi per la crisi.
O di suicidi per “motivi economici”. Inoltre, se il trend di suicidi totali dovesse rimanere stabile rispetto agli anni passati (nel 2010 erano 3.048, fonte Istat), l’incidenza dei 34 “suicidi per la crisi” in questo primo quadrimestre sarebbe comunque ridotta (3,7% contro il 6,1% del 2010).
Per inciso, il dato dei suicidi per motivi economici ripresi dalla cronaca, divenuto nel frattempo di 38, è stato usato anche dall’edizione ondine di Wired, unico problema di un’inchiesta molto circostanziata che ha avuto il merito di mettere in dubbio l’epidemia di cui si parla da diverse settimane sui media, e che è stata ripresa da varie testate nazionali.
Quanto poi al motivo economico indicato come
scatenante del gesto, sono molti a manifestare
dubbi sulla correttezza di questo tipo di classificazione.

Il sociologo Maurizio Barzagli ha spiegato sulle pagine di Repubblica che gli “studi basati sul movente indicato dalle Forze di polizia risultano inaffidabili perché sottostimano il fenomeno di un 25 per cento. E chi va a fare i rilievi sul cadavere offre per forza di cose un´indicazione grossolana del motivo del suicidio”.

Ed è qui che i media possono intervenire
positivamente: “Si può scrivere un articolo senza glorificazioni, senza fornire motivazioni,
che sono solo alibi, senza entrare nel merito
dei metodi usati per togliersi la vita…”.

Invece per l’esperto De Leo “i giornalisti non si preoccupano delle semplificazioni che fanno”.

Un modo diverso, utile, di affrontare questo
fenomeno è possibile: “È un dovere etico, ad
esempio, sottolineare l’esistenza di servizi di
ascolto, numeri verdi che sono a disposizione
delle persone in difficoltà. Questo in Italia non
si fa ed è sbagliato. Se ci sono altri imprenditori
in difficoltà, che fanno i conti con uno stato di
depressione, rischiano di essere dei lettori particolari, e sentirsi spinti a mettere in atto un gesto estremo da una sorta di assoluzione collettiva”.

Non di dice mai, poi, che la crisi non può essere il vero fattore scatenante ma solo una concausa: “Prima vengono molti altri fattori e
questo rende lo studio del suicidio molto
complicato” aggiunge De Leo, che cita tra le
cause principali i disturbi mentali, una
depressione più o meno manifesta e problemi che inducono a non dormire. In secondo luogo, un carattere pessimistico, poche connessioni sociali, scarsi amici, difficoltà ad aprirsi agli
altri, insufficienti gratificazioni.

Tutti gli esperti sono d’accordo che la causa di un suicidio è una delle cose più difficili da
accertare: in genere è molteplice e, al di là di
quelle che possono sembrare evidenze,
contiene sempre una parte indefinita e
insondabile.

I “moventi” raccolti dalle forze
dell’ordine e riportati dall’Istat non vanno però
in questa direzione, tanto che lo stesso
Barbagli ha affermato su “Il mondo” di aver
chiesto più volte all’Istat di eliminarli.

Dello stesso avviso è De Leo che afferma:
“Prima di fare l’autopsia psicologica di quello
che è accaduto si dovrebbe fermarsi a
esaminare tutte le circostanze. Non si butta via la vita così facilmente…”. In ogni caso, se
siamo o meno davanti a un “fenomeno” sociale è presto per dirlo: “I numeri potranno essere analizzati solo a freddo, a distanza di tempo – conclude De Leo-. Certo, ora sono numeri che fanno pensare, ma non si può parlare di ‘epidemia’.
Sono allarmi ancora ingiustificati.

Ogni anno ci sono migliaia di suicidi,
purtroppo, ma solo una piccola percentuale
riconducibile, sembra, a motivazioni economiche.