(A firma di Gianluca Palma, Collaboratore centro studi economici Università Salento) –

Nel 2002, l’Accademia Svedese delle Scienze ha assegnato il Premio Nobel per l’economia a Vernon Smith “per aver affermato la rilevanza degli strumenti di laboratorio per l’indagine empirica in economia” e a Daniel Kahneman “per aver integrato intuizioni della ricerca psicologica nella scienza economica”.
La decisione dell’Accademia ha sancito la rilevanza di un approccio all’analisi dei fenomeni economici diverso rispetto a quello proposto dall’economia neoclassica.
L’esigenza riconosciuta invece è quella di considerare adeguatamente la complessità dei fenomeni economici e dei processi che guidano le scelte degli individui.
Negli ultimi anni, a questa esigenza ha cercato di rispondere una nuova branca dell’economia, denominata economia cognitiva.
Questa recente disciplina studia le operazioni di ragionamento e i processi di adattamento assunti dagli attori economici nel corso delle loro interazioni. Si parla di adattamento perché gli agenti, nelle loro scelte, non si comportano secondo quanto previsto dalle curve di preferenze descritte dagli economisti tradizionali, ma violano apparentemente, la razionalità.
Le violazioni della razionalità economica non sono episodiche ma, come osserva Kahneman, sistematiche.
Al riguardo lo studioso israeliano asserisce che:
“la classica teoria delle scelte fissa una serie di condizioni di razionalità che sono forse necessarie ma difficilmente sufficienti: esse, infatti, consentono di definire come razionali molte scelte palesemente sciocche”
“Nessuno ha mai creduto seriamente che tutti gli esseri umani abbiano sempre credenze razionali e prendano invariabilmente decisioni razionali.
Il principio di razionalità viene generalmente inteso come un’approssimazione, fondata sulla convinzione (o speranza) che gli scostamenti dalla razionalità si facciano rari quando la posta è alta o tendano a scomparire del tutto sotto i colpi della disciplina del mercato” .
Si potrebbe affermare che l’economia cognitiva nasca dal bisogno di approfondire le ragioni di questa “ricorrenza dell’irrazionalità”.
Tale materia di studio si consolida e si diffonde a partire dalla fine degli anni Ottanta, e soprattutto nel corso degli anni Novanta, quando affiorano la complementarietà e le affinità tra i contributi resi dai vari economisti nel corso degli anni Cinquanta.
Proprio nella metà del Novecento erano emersi risultati sperimentali che mettevano in discussione la validità del modello standard dell’azione razionale. In particolare vanno ricordati: il paradosso di Allais nel 1952 e lo studio empirico dei processi decisionali nelle imprese condotto da Cyert, Trow e Simon nel 1956.
La pubblicazione di questi lavori suscitò interesse, ma non alterò l’orientamento prevalente della scienza economica. Occorrerà aspettare quindi la fine degli anni Ottanta per constatare i primi mutamenti verso un sostanziale ripensamento della teoria economica mainstream.
Una delle ragioni di questa sfasatura è da attribuire alla variegata natura di questi lavori e più in generale delle matrici dell’economia cognitiva, che sono state individuate come tali solo successivamente.
Un altro motivo di questo ritardo è dovuto al fatto che, negli anni Cinquanta, le tecniche di ottimizzazione avevano raggiunto un elevato livello di perfezione formale, rivelandosi molto efficaci, ma allo stesso tempo molto complesse. Bisogna sottolineare che i teorici dell’ottimizzazione spesso non hanno tenuto in conto i problemi derivanti da un eccessivo dispendio di tempo di calcolo, da parte degli individui, per poter effettuare delle scelte .
A partire dagli anni Settanta Daniel Kahneman ed il suo più giovane collega psicologo Amos Tversky, hanno pubblicato decine di lavori scientifici in cui è stata ampiamente discussa una nuova modalità di studio su come le persone valutano l’incertezza e prendono decisioni.
Di particolare rilievo, a tal riguardo, appare il loro contributo nello studio dei principi psicologici che governano il determinarsi delle alternative nel processo di decision-making, mostrando come le preferenze varino sensibilmente in base alle modalità con cui esse si presentano e vengono identificate.
In concreto, Kahneman e Tversky mostrano per la prima volta in maniera efficace come i giudizi degli individui siano il prodotto finale dell’azione di particolari meccanismi cognitivi quali la rappresentatività, la disponibilità e l’ancoraggio. Con questi termini viene fatto riferimento a specifici processi cognitivi che, in maniera del tutto inconsapevole, dirigono e influenzano in modo determinante la maggior parte delle nostre decisioni quotidiane.
Kahneman nel suo saggio, scritto in collaborazione con Amos Tversky, Judgement under Uncertainty: Heuristics and Biases afferma che:
“molte decisioni vengono prese sulla base di convinzioni riguardanti la probabilità di eventi incerti, come il risultato di un’elezione, la consapevolezza di un imputato o la futura quotazione di una moneta.
Il più delle volte, queste congetture sono espresse con frasi come: “Penso che…; Ci sono buone possibilità che…, È improbabile che…, e via dicendo, e qualche volta assumono persino forma numerica, con l’enunciazione di quote o probabilità soggettive”.
I due studiosi hanno dato inizio ad un lungo percorso che ha progressivamente messo in discussione la validità descrittiva dell’assunzione di razionalità e del modello normativo dell’utilità attesa, proposto da von Neumann.
Le loro ricerche hanno, come punto di partenza, la constatazione e valutazione di apparenti anomalie cognitive e contraddizioni osservabili nel comportamento quotidiano delle persone. In particolar modo essi osservano che gli individui, posti di fronte ad una scelta, si comportano in maniera significativamente diversa, mostrando una propensione al rischio oppure un’avversione ad esso, a seconda di come la scelta e le opzioni vengono presentate loro.
L’esempio proposto dai due psicologi è il seguente: le persone sono disposte ad attraversare un’intera città per risparmiare 5 euro per un capo che ne costa 15, mentre non sono disposte a fare altrettanto per risparmiare la stessa cifra per l’acquisto di un capo che è venduto a 125 euro.
Questo fenomeno viene rappresentato con la teoria del framing delle decisioni ossia della loro ‘contestualizzazione’ (il termine italiano è probabilmente inadeguato essendo a differenza dell’inglese framing, troppo carico di significato realistico-descrittivo anziché psichico), teoria che a sua volta si ricompone o presuppone delle riflessioni.
Da queste riflessioni, gli autori sono arrivati a dimostrare come le preferenze vengano espresse nel momento stesso in cui viene posto il problema e in funzione del modo in cui le informazioni sono presentate di volta in volta, non essendovi, quindi, un modo per la nostra mente di garantire l’esistenza di un ordine di preferenze e credenze che sia coerente e determinato a priori.
Secondo Kahneman infatti, i requisiti formali di coerenza della cosiddetta razionalità economica sono psicologicamente impossibili e non possono essere soddisfatti dalla mente umana. Sarebbe un errore intendere questa posizione come rifiuto radicale della razionalità.
Essa implica invece, che la sola nozione realistica di razionalità diventa quella di razionalità limitata, un concetto introdotto da Simon diversi anni prima, nel quale viene presa in considerazione l’asimmetria ricorrente nelle scelte quotidiane degli uomini.
La teoria della razionalità nella sua formulazione classica è pertanto giunta ad un momento critico: i suoi principali ispiratori ed il suo ruolo quale micro-fondamento dell’analisi economica sono seriamente messi in discussione.