(A firma di Carlo Di Stanislao, Dirigente medico) –

Mentre una nuova scossa di terremoto nella prefettura di Fukushima, di magnitudo 6.3, ha costretto il 12 aprile all’evacuazione dei lavoratori della centrale, le autorità giapponesi hanno innalzato al livello massimo di 7, la classificazione dell’incidente nucleare provocato dal terremoto e dal successivo tsunami dell’11 marzo scorso, di fatto ponendolo al pari dell’incidente in Ucraina del 1986: il più grave di tutti i tempi.
Il passaggio al livello 7 di pericolosità equivale a una dichiarazione di resa e ci dice come la situazione sia fuori controllo e non ci sia modo di arrestare né la fusione né la contaminazione, anche per chi è lontano dall’area. L’ipotesi peggiore da scongiurare è un’esplosione di idrogeno con l’immissione di forti quantitativi nell’atmosfera.
Lo pensa Sergio Ulgiati, professore di Chimica dell’Universita’ Parthenope di Napoli e membro del Comitato scientifico di Italia. Per Ulgiati “il rischio che coinvolge le aree geografiche limitrofe, come ad esempio la Cina e la Corea, ma in generale, se si considera il commercio globalizzato del cibo, non ha confini; da qui deriva il principale pericolo.
Per correre ai ripari, in base a quanto riportato dall’Asahi, a causa delle dispersioni radioattive, il governo sarebbe intenzionato ad estendere l’area di evacuazione dalla centrale di Fukushima a 20-30 chilometri. In questo senso vanno gli inviti rivolti alle autorità nipponiche dall’Agenzia atomica internazionale e da altri paesi.
L’Agenzia giapponese ha comunque precisato che il livello delle emissioni radioattive registrato dall’inizio dell’incidente equivale solo al 10% di quelle misurate nel 1986 dopo la catastrofe di Chernobyl, ma questo non basta a placare gli animi. I giudizi sulla tipologia degli incidenti nucleari sono emessi secondo la International Nuclear and Radiological Event Scale (Ines), una scala introdotta dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea, che fa capo all’Onu), per consentire la comunicazione tempestiva delle informazioni rilevanti sulla sicurezza in caso di incidenti nucleari.
Haruki Madarame, presidente della Commissione, ha riferito di aver stimato che il rilascio di 10’000 terabecquerel per ora di materiali radioattivi è andato avanti per diverse ore. Sempre la stessa Commissione, continua la Kyodo, ha inoltre pubblicato un calcolo preliminare sui valori cumulativi di esposizione alle radiazioni esterne, rilevando che è stato superato il limite annuale di 1 millisievert nelle aree oltre i 60 km a nordovest e circa 40 km a sud-sudovest dalla centrale. n questa proiezione sono incluse le città di Fukushima, Data, Soma, Minamisoma, e Iwaki, che sono tutti nella prefettura di Fukushima, e alcuni altri settori tra cui la città di Hirono. Dall’11 marzo scorso, i sistemi di raffreddamento abituali dei reattori di Fukushima sono guasti, cosa che ha comportato esplosioni e fughe radioattive nell’atmosfera e nell’Oceano Pacifico. Domenica prossima, poi , arriverà in Giappone il segretario di Stato Usa Hillary Clinton che si recherà a Tokyo, con l’obbiettivo ufficiale dichiarato di: “mostrare il sostegno degli Stati Uniti” ai giapponesi e di “sottolineare l’impegno duraturo degli americani nell’alleanza”. Contro l’inettitudine e l’omertà colpevole del governo circa Fukushima ed il rischio di altre fughe dagli impianti di Higashidori e Onagawa, a quanto pare danneggiate dalla forte scossa di giovedì scorso, oggi si sono svolte, con un ampio tam tam attraverso i social networking di facebook, twitter e mixi (quest’ultimo molto in voga nel paese), due importanti manifestazioni a Tokio.
Secondo gli organizzatori erano circa 5.000 le persone a manifestare per strada, in base invece alle fonti fornite dai media nazionali, in serata si toccava quota 17.000.
La prima delle due proteste è stata organizzata dai commercianti del quartiere di Koenji, mentre l’altra, svoltasi nel centro di Tokyo, è stata coordinata dal comitato “Fermate la centrale di Hamaoka” e si è conclusa presso la sede della Tepco.
Scrive Massimo del Papa, voci fuori dal coro del giornalismo via internet, che se e l’uomo è incapace, ogni forma di energia è letale, dall’atomo che corrode al sole che brucia all’acqua che travolge all’indrogeno che esplode, come nella raffineria sarda di Sarroch, dove ogni anno muore qualcuno ma nessuno si sogna di abolire i combustibili.
Chernobyl fu l’epitaffio di un sistema comunista al tracollo, il Giappone sconta l’epitome neoliberista che considera uno spreco tutto ciò che non sia profitto, a cominciare dalle misure di sicurezza. E mentre il governo giapponese continua ad annaspare e incassare brutte figure, mentre l’esito dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima si fa ad ogni più grave e funesto, tutto il mondo si sta interrogando sulle falle dei sistemi di sicurezza e si sta chiedendo se fosse in qualche modo possibile prevenire lo scenario peggiore.
Di fatto, secondo l’allarme lanciato dalla stessa agenzia giapponese per la sicurezza nucleare, il nocciolo di uno dei reattori (il due), sta fondendo, penetrando nel terreno e se incontrerà delle falde acquifere esploderà, rilasciando nell’aria una nuvola da far impallidire “La Nuvola nera” del romanzo di Fred Hoyle.
La nuvola andrà dove la porterà il vento, in Corea e in Cina oppure in California, dove sono già state trovate tracce di radioattività nel latte. Il problema è mondiale e drammatico e rende ancora più odiosa la sicumera di Veronesi che, in tv da Fazio e sulla Stampa, fa impallidire tutti, lasciandosi andare ad affermazioni prive di supporto scientifico, che rischiano di banalizzare una tematica estremamente complessa e di condizionare con la propria “autorità” l’opinione pubblica, sempre più costretta a subire l’offensiva mediatica della potente lobby nuclearista.
Oltre al non banale problema della sicurezza, vi è, per noi, la non banale questione dei residui nucleari, che costa ancora agli italiani 400 milioni di euro l’anno (almeno 10 miliardi dal 1987, e chissà per quanti anni ancora).
Da pochi giorni sono trascorsi 25 anni da Chernobyl ed ora, Fukushima, ci dice che in un quarto di secolo l’uomo non ha imparato nulla.
Chernobyl è una parola che fa tanta paura, un nome diventato sentimento comune, spavento. I muri giganti, il cemento violento, il suono del geiger, la città ferma nel tempo. Eppure quell’inferno lo abbiamo replicato.
E come allora un gruppo di eroi senza volto si immolò per spegnere il reattore quattro, oggi 50 kamikaze stanno facendo la stessa fine, nel nord-est del Giappone. Oggi la parola “kamikaze” ha connotati solo negativi. Le stragi di civili di Al Qaeda o di Hamas hanno fatto dimenticare che anche la Resistenza ebbe delle squadre suicide, come il commando di partigiani cecoslovacchi che giustiziò Reinhard Heydrich, detto “il boia” (der Henker).
Ma 25 anni dopo, a 8000 km di distanza , i 50 kamikaze di Fukushima stanno compiendo lo stesso sacrificio dei “Liquidatori” di Chernobyl, che limitarono i danni, a prezzo della vita.
Quelli di Cernobyl sono ricordati il 26 aprile dal “Chernobyl day” insieme alle centinaia di migliaia di morti di cancro (500.000 secondo il Guardian) causati dall’incidente del reattore N°4.
Chissà come e quanti ne ricorderemo in futuro, per il disastro di Fukushima.