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Ogni anno su un laureato meridionale in uscita dal Sud all’estero, dieci risalgono lo stivale e lì si fermano. La proposta di legge 2079 sul rientro dei cervelli in Italia va nella giusta direzione ma rischia di interessare meno del 10% dei giovani meridionali. Servono interventi strutturali di modernizzazione dei territori per rendere l’area attraente non solo per i talenti italiani e stranieri, ma anche per investimenti e capitali.

È quanto ha affermato il Presidente della SVIMEZ Nino Novacco nell’audizione sulla proposta di legge 2079 sul rientro dei cervelli dall’estero davanti alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati.
Negli ultimi anni l’Italia da un lato fornisce forza lavoro qualificata ad altri Paesi, dall’altro accoglie soprattutto lavoratori stranieri con basse qualifiche. In dieci anni, dal 1996 al 2006, quasi 470mila italiani sono espatriati, a fronte di 399mila rientri, per un saldo negativo di oltre 68mila unità. Il segno meno è dovuto soprattutto al Sud: 245mila usciti a fronte di 170mila rientri, con una differenza di circa 75mila unità. La bilancia del Centro-Nord fa segnare invece un attivo di oltre 6mila unità..

La situazione più critica è per i laureati: su 43mila espatriati in dieci anni (31mila del Centro-Nord e 12mila del Sud) ne sono rientrati 38mila (31mila nel Centro-Nord e 7mila al Sud), con un saldo negativo di oltre 4.500 unità, quasi totalmente meridionali. A questi si aggiungono si aggiungono tantissimi laureati del Sud in fuga verso il Centro-Nord.
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“Dal confronto dei dati relativi alle migrazioni interne con quelli verso l’estero, si legge nel testo, appare chiaro che la grandissima parte dei meridionali che lasciano il Sud si trasferisce nel Centro-Nord: ciò riguarda l’intera popolazione, ma soprattutto i laureati. La quota dei flussi verso l’estero sul totale degli spostamenti è infatti pari ad appena il 15% per la popolazione complessiva e appena il 9% per i laureati. Ciò vuol dire, in termini assoluti, che ai 2.000 laureati del Sud che si dirigono verso l’estero, si aggiungono altri 20 mila che ogni anno si trasferiscono al Centro-Nord”. Perché?
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“Un tessuto produttivo ancora incompleto, caratterizzato dalla presenza di imprese di minore dimensione e specializzate in settori tradizionali non ha consentito di dare occupazione al crescente flusso di personale ad alta qualificazione, risultato di importanti investimenti dello Stato e delle famiglie nel sistema formativo meridionale…
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Studiare serve soprattutto ad emigrare, in particolare per coloro che, non provenendo da famiglie agiate non possono godere di quel sistema di relazioni informali che rappresenta ancora nel Sud uno dei principali canali di accesso al mercato del lavoro.”
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SVIMEZ rileva che: “La crescita dei flussi migratori verso l’estero verificatasi negli ultimi anni riguarda in via esclusiva la popolazione con titolo di studio terziario.. Il fatto che la legge non discrimini tra tipologie di lavoratori non appare coerente con tali flussi…”..

Inoltre, visto il peso delle migrazioni Sud-Nord su quelle verso l’estero, la legge “rischia complessivamente di interessare meno del 10% del totale dei giovani meridionali (laureati e non) che sono costretti ad abbandonare il proprio territorio per assenza di occasioni di impiego adeguate”..

Servono interventi volti a favorire il rientro dei cervelli anche per i tanti laureati del Sud (oltre il 40% si è laureato con il massimo dei voti) che si sono trasferiti al Centro-Nord. Una credibile politica volta a favorire un incremento della capacità di impiego di lavoro produttivo nel Mezzogiorno non può certamente essere affidata in via principale a strumenti di incentivazione fiscale rivolti a singoli individui. Permane forte l’esigenza di collocare anche i singoli interventi, quale quello proposto dalla Legge C. 2079, all’interno di una strategia di intervento per l’adeguamento strutturale e per la modernizzazione dei territori meridionali… al fine di rendere “attraente” il territorio non solo per i talenti italiani e stranieri, ma anche per investimenti e capitali esterni.