(A firma di Luisa Stifani, Direttore Responsabile Portofolio) –

L’Italia “probabilmente è già in recessione”. Lo scriveva già a novembre l’agenzia di rating Fitch, in una nota in cui declassava 8 banche italiane di medie dimensioni. Lo dice Confcommercio in un’indagine condotta recentemente: per il 2012 calo dei consumi dello 0,3% e flessione del Pil dello 0,6%. Stime che potrebbero risultare addirittura ottimistiche alla luce delle recenti manovre proposte dal Governo.
Ad alimentare il sospetto ci ha pensato, da ultimo, il tanto atteso dato sulla produzione industriale italiana, calata dello 0,9% su base mensile, dello 0,5% nell’arco del trimestre e quel che più impressiona, del 4,2% nello spazio di un anno. Decisamente un brutto segnale. Elementi di incertezza caratterizzano anche il mercato del lavoro con le ore di Cassa integrazione che hanno raggiunto cifre inimmaginabili ed il precariato che è diventato una vera piaga sociale e che in questa prima fase, la manovra Monti non ha affrontato. Il diritto del lavoro è stato distrutto. Azzerato dal capovolgimento delle fonti, dall’idea che il contratto individuale prevale sul collettivo e sulla legge.
La recessione richiede misure coraggiose di cui oggi non c’è traccia.
Le risorse devono essere trovate in quel dieci percento di ricchi e in quell’un percento di super ricchi, che hanno concentrato tutta la ricchezza.
La tassazione deve spostarsi sui redditi alti e sulla ricchezza. Pretendiamo l’armonizzazione fiscale a livello europeo, per ridare coerenza anche dal punto di vista fiscale all’Europa.
Monti non ha mai pronunciato la parola modello di sviluppo. Invece bisogna ridurre la dipendenza dall’estero e ricostruire capacità produttiva non basata su lavoro a basso costo.
Il problema è avere l’economia a servizio della società e non al contrario. Una serie di politiche sostenibili ed equità vera, giustizia e economia che non opprima la gente.
La manovra “salva Italia” del governo Monti vale 30 miliardi tra 2012 e 2014 l
Alla correzione del deficit vanno 20 miliardi mentre i restanti 10 serviranno a finanziare interventi di stimolo alla stagnante attività economica.
La manovra attinge 12-13 miliardi da tagli di spesa e 17-18 miliardi dalle maggiori entrate, che assicurano quindi circa il 60% delle nuove risorse raccolte.
Austerità e rigore di bilancio è l’accordo Bruxelles che sancisce la nascita di una nuova Europa.
Un fallimento inaspettato poiché non esiste un’ unione fiscale ma solo un patto di rigidità molto rafforzato, non è prevista nessuna misura per la crescita neanche un “muro di difesa” per evitare a Spagna, Italia e Francia il rischio di contagio. Il raggiungimento del pareggio di bilancio per mezzo di drastici tagli alla spesa pubblica ricadono, inevitabilmente, sulle fasce più povere della popolazione europea questo è la sconfitta del sogno di un’Europa sociale e solidale.
I devastanti effetti sociali di queste politiche di austerità devono ancora mostrarsi in tutta la loro brutalità. Politiche che vengono spacciate come tecniche, neutrali, necessarie e ineluttabili, ma che così non sono.
Il rischio di un nuovo 1929 è dietro l’angolo. La depressione economica è in agguato e le proposte istituzionali non portano a una via d’uscita.
L’asse franco-tedesco non rappresenta formalmente niente, si è auto-imposto e a causa dell’insormontabile opposizione tedesca, sono state scartate tutte le misure urgenti che servivano per uscire dalla fase acuta della crisi: niente eurobond, niente misure di rilancio dell’economia, niente tassazione finanziaria.
L’unica cosa decisa è lo stanziamento di altri 200 miliardi di euro di aiuti per gli Stati in difficoltà, triangolati attraverso il Fondo monetario internazionale in maniera tale da poter accogliere anche fondi extraeuropei.
A tenere a galla i Paesi in crisi nel breve periodo dovrà quindi essere per forza la Bce, continuando a comprare titoli italiani, spagnoli e greci di sottobanco.