(A firma di Carlo Di Stanislao) –
In questi giorni è di grande attualità il tema della violenza sessuale sulle donne italiane.
L’introduzione di una regola si rende necessaria visto che l’eccessiva discrezionalità lasciata finora ai giudici permette di trattare casi simili in maniera nettamente diversa. Ad esempio il 29 giugno, il procuratore reggente di Bologna Massimiliano Serpi, con una sentenza ha dichiarato che sbattere una donna al muro, immobilizzarla e masturbarsi davanti a lei, non è reato.
Tastare il sedere di una donna o darle un bacio contro la sua volontà è invece violenza sessuale. Per molti cittadini è impossibile cercare una spiegazione fra tante incongruenze ed i giudici restano una casta d’intoccabili, che si arrocca sempre più lontano dal sentire comune e dalla gente.
Come non ricordare il drammatico “stupro di Capodanno” che ha avuto per vittima una povera ragazza romana, picchiata e poi violentata da un nostro connazionale in preda ai fumi dell’alcool e della droga.
Viene fermato e dopo sole 48 ore gli sono stati concessi gli arresti domiciliari, perché incensurato (c’è sempre una prima volta), perché ha confessato (dopo che lo hanno informato dell’esame del DNA sulle sue tracce organiche lasciate sul corpo della ragazza) e perché la famiglia ha condannato la condotta dell’adorato figlio. Un magistrato ha detto “Mah si! È un bravo ragazzo, di buona famiglia ed ha collaborato.
È giusto sottrarlo all’arresto.
E poi si era drogato”.
Davvero, allora, anche in questo caso, la giustizia italiana non è giusta. L’introduzione di una regola si rende necessaria visto che l’eccessiva discrezionalità lasciata finora ai giudici permette di trattare casi simili in maniera nettamente diversa. Sembra realmente illegittimo giustificare il colpevole di un reato grave solo perché lo ha commesso in stato d’ebbrezza o drogato di chissà quale sostanza. Ora la Camera afferma, con scrutinio segreto e voti positivi trasversali, che è necessario colpire il problema alla radice con una legge più repressiva, in base alla quale colui che compie un reato così grave, anche se drogato o ubriaco, sa che si apriranno immediatamente le porte del carcere.
Ma questo, io credo, non farà diminuire gli stupri e gli altri reati a sfondo sessuale. Tutti i miti e tutte le tradizioni ci parlano di un tempo in cui donne e uomini vivevano in armonia, gli uni con gli altri e con la natura.
Ma 4-5 mila anni fa cambiamenti climatici e disastri naturali portarono a sconvolgimenti tali trovare indizi di forte tensione, di cambiamenti climatici e disastri naturali da condurre orde di nomadi venuti dalle parti più inospitali del pianeta, ad invadere quel mondo d’equilibrio felice, portando con se un modo di vivere molto bellicoso, dominato da maschi molto forti. Fu da allora che il corpo fu associato al peccato, al dolore e alla violenza e, con le religioni monoteiste più sessuofobie (cristianesimo ed islamismo), questi concetti si sono accentuati. Agli albori della civiltà la prima Dea ad essere venerata fu La Grande Madre, la femmina procreatrice che donava la vita, consentiva la sopravvivenza dell’essere partorito nutrendolo col suo latte.
Il grande mistero della procreazione colpì la fantasia dei nostri progenitori che fecero della donna una dea e l’adorarono.
La Donna in grado di mettere al mondo nuovi esseri viventi era considerata portatrice di un potere misterioso; l’uomo primitivo non aveva spiegazioni per questo ‘miracolo’ pertanto creò il mito e, come sempre accade di fronte ad un mistero, di cui non si conosceva il significato e la necessità del contributo maschile, l’uomo primitivo costruì la sua religione.
La grande Madre impersonava la Natura e le Stagioni: la primavera col fiore, l’estate col frutto, l’autunno con gli ultimi doni, l’inverno che nasconde il seme all’interno del grembo della Terra, seme che darà il suo frutto nell’eterno ripetersi delle stagioni legate alla rotazione della Terra, alla presenza del Sole, all’influsso della Luna.
Poi, con l’avvento del dio maschio, la civiltà divenne sempre più maschilista: nacquero le dee-demoni. La struttura della società era cambiata, da una società di uomini cacciatori e di donne raccoglitrici d’erbe e bacche, dedita al nomadismo, divenne stanziale e nacquero gli artigiani e gli allevatori. La grande madre era Ishtar, nuda perchè dea della Verità, con le insegne della Luna sul capo e in mano una coppa contenente l’elisir della Vita, ma è anche dea della morte, e qui troviamo somiglianze col mito di Proserpina romana.
Durante l’ inverno Ishtar si portava nel mondo dei morti e sulla terra non albergava il sole, non cantavano gli uccelli, si digiunava in segno di lutto: forse questa è l’ origine del digiuno nelle due grandi religioni monoteiste. Con l’avvento di Marduk, la donna venne relegata in casa, proprietà del maschio che voleva la certezza che la prole provenisse dal suo seme: comparve Lilith, ancora bellissima, ma al posto dei piedi aveva artigli, affiancata da due civette, creature della notte, apportatrice di tempeste, sopratutto dei sensi, tentava gli uomini, uccideva i bambini, lussuriosa, ma sterile.
Nei secoli seguenti nei secoli gli uomini si sono sbizzarriti a creare figure chimeriche per demonizzare la donna e farle perdere il potere che temevano Indebolisse il loro: le donne furono considerate proprietà maschile prima del padre, poi del marito (un esempio è la cintura di castità che la donna era costretta ad indossare in assenza dello sposo partito per guerreggiare in Terra Santa ).
E ancora si pensi alla costumanza di mostrare il lenzuolo nuziale macchiato del sangue virginale per attestare la verginità della sposa, allo ” jus primae noctis’,’ alle mutilazioni dei genitali femminili, ancora in uso oggi presso molti popoli. Ora che, dopo la 2nda guerra mondiale, nel mondo occidentale il potere della donna è cresciuto a dismisura (con la possibilità di evitare gravidanze indesiderate con delle leggi le consentono di decidere autonomamente l’interruzione della gravidanza, con una chimica che può cancellare il flusso mestruale), l’uomo si sente spiazzato, disorientato indotto ad esercitare, in mille modi la propria supremazia fisica e muscolare, anche con atti che servono ad utilizzare il proprio membro come una spada per ferire, per sottomettere. Non solo con atti brutali e violenti, ma impedendo alle donne di esprimersi o considerandoli, nella povertà riduzionista del suo pensiero, esclusi e pornografici oggetti di piacere.
Si prenda ad esempio la pornografia maschilista di questi anni bui e violenti. Visione ben espresse da Carmelo Bene, segno e simbolo di un virilismo ottuso e violento, nel cap. IV del suo libro autobiografico dettato, come intervista, a Giancarlo Dotto:”La donna è già catastrofe prenatale prima di diventare ingombro nuziale e poi imbarazzo legale: tua madre che, disinvolta criminale, sospende l’amorazzo con l’estraneo suo marito non più amante per baloccarsi con un piccolo fallo “tutto suo” da allattare, allevare, in tutta esecrabile, sconsiderata vertigine. Quando sarà cresciuto questo fallo, eccole una seconda distrazione a procurargliene un altro ancora tutto suo.
E la vita. Puttana. Matrice. Matrigna. Spensierata. Irresponsabile.
Partorisce pensamenti.
Che si trasformeranno in incubi, veri e propri schizzi anamorfici nel guano dell’identità. La scrofa ti espelle dal suo ventre abominevole, ti cestina nella discarica della vita. Se dell’incontinenza delle generali defecazioni materne, a noi estranee, siamo via via informati, di quella puttanaccia di nostra madre siamo più che certi. Ogni maternità è mostruoso delitto. Qua e là si combatte l’aborto e non la messa in luce. Cosa c’è di più laido del famigerato ossequio alla maternità! Con e senza bambino. Strafottute madonne.”
È questa mentalità la più pericolosa, perché colta, sottile, radicata, più mortale di qualsiasi stupro, incancellabile solo con una legge, anche se molto dura e repressiva.
In definitiva si tratta di spezzare, negli uomini anche più evoluti, l’appercezione verso la donna senza l’esigenza di un ragionamento. Ora ha ragione Eric Gans che in Chronicles of Love and Resentment afferma che la violenza è frutto di una “estica separata” che ha dimenticato il vero femminile.
Infatti l’estetico acquista la sua specificità, cioè la sua indipendenza dalla prassi appetitiva, soltanto sulla scena comune della rappresentazione, dove il pericolo del desiderio mimetico ci forza a contemplare il sacro ed il bello.
La biologia evolutiva è in grado di migliorare la nostra comprensione degli appetiti che si trovano dietro la cultura umana, ma soltanto l’antropologia originaria, offre una spiegazione delle forme di desiderio che questa cultura costruisce.
E solo se saremo in grado di operare un recupero antropologico dell’originario equilibrio fra maschi e femmina, avremo davvero vinto una cultura oscena basata sulla rapina, sulla violenza e sullo stupro.