(A firma di Antonio Cappelli, Direttore Provinciale Confindustria L’Aquila) –
Sembra un bollettino di guerra: ormai l’emergenza è quasi quotidiana, non si era risolta quella dell’Aquila che già era esplosa l’altra ad Haiti, e avanti così: mentre scrivo vedo le immagini del dissesto idrogeologico che ha portato all’evacuazione totale di Maierato in Calabria.
Nei primi dieci anni del nuovo millennio abbiamo registrato grosso modo 500 disastri con circa 10.000 morti, 200 milioni di persone colpite, 70 miliardi di dollari di danni. Anche la Cina si è posizionata ai primi posti della classifica.
In Italia, mediamente, durante l’ultimo decennio abbiamo speso più di 3.500 milioni di euro l’anno per fare fronte alle sole emergenze idrogeologiche, con interventi che, non serve dirlo, hanno solo tamponato gli effetti: l’85% delle risorse è andato a ripristinare i danni e meno del 15% è stato investito per rafforzare il territorio circostante ed evitare l’espandersi o l’immediato ripetersi della tragedia.
Nulla alla prevenzione.
Nel tutto, se sono abbastanza aggiornato, ci sono circa 1800 milioni di euro per interventi di difesa e assestamento territoriale: di questi solo il 40% sono stati spesi, sembrerebbe quasi che il Governo non abbia consapevolezza della fondamentale importanza della conservazione dell’assetto idrogeologico e, anzi, pare che intenda ridurre la questione della difesa del suolo negli angusti termini dell’efficienza dei soccorsi di protezione civile… Nei prossimi anni, miliardi e miliardi di euro transiteranno attraverso gli organismi internazionali e nazionali per fare fronte alle continue catastrofi ambientali, un business la cui portata non è sfuggita a tutti.
Se dal 1968 ad oggi il terrorismo ha ucciso 24 mila persone, contro le 240 mila sterminate ogni anno dai continui disastri ambientali, non è difficile capire su cosa investire, sempre che far vivere sia più importante che far morire.
Contemporaneamente una crisi economica mondiale che, almeno per il momento, sembra risparmiare solo la Cina (la quale, anzi, ha aumentato il Pil del 10,7% nell’ultimo trimestre 2009 anche se, a breve potrebbe non sottrarsi all’inflazione o ad un eccesso di capacità produttiva: staremo a vedere se una terza via sarà possibile…), ci indica un futuro fatto di programmi concreti e articolati sul territorio che orientino il tessuto imprenditoriale verso una riconversione dell’economia. Sfamare il grande mostro finanziando le opere pubbliche o le produzioni di massa fordiste, obsolete o insostenibili, non potrà segnare la fatidica ripresa, per la quale dovremo fare a meno di quei generali capaci di combattere guerre passate anziché guerre future (vedi Obama sulle banche).
Una riconversione di apparati produttivi, modelli di consumo e distribuzione delle risorse a livello internazionale e all’interno di ogni Paese, passando da un’economia dell’eccesso ad una dell’accesso, è ineludibile. La crisi ambientale e quella economica sono congiunte e gli interventi di sostegno dei comparti in disgregazione sono demagogia (vedi quelli sulle banche, sulle auto eccetera). Aumentare la produttività del lavoro deve sostituirsi con il paradigma dell’aumento della produttività delle risorse: è così che le imprese, e in primis quelle del comparto più colpito dalla recessione, l’edilizio, possono avere una nuova stagione d’oro.
Un esempio, per cominciare a dare qualche concretezza alle idee, e lasciare intendere l’orientamento della presente riflessione.
Bolzano è la capitale italiana del benessere. Secondo Eurostat 2008 è la provincia più ricca d’Italia, con il Pil pro capite più alto del Paese (evitiamo in questa sede l’analisi sulla validità dei parametri Pil…) – a parità di potere di acquisto pari al 136,7% della medie Ue. Nelle classifiche annuali sulla qualità della vita è al terzo posto 2008 secondo Il Sole 24 Ore e Italia Oggi, soprattutto per la bassa disoccupazione (2,4%) e la qualità dei servizi sociali. Stando a Legambiente è la regina d’Italia per l’ecosistema urbano, in particolare per le politiche ambientali e il risparmio energetico. Sempre dalle stesse classifiche, gli italiani più felici sono i bolzanini e, guarda caso, hanno una media di 1,57 figli per donna e il più alto tasso di fecondità di tutta Italia. Un esempio per tutti di vita urbana sostenibile e di apertura all’innovazione, il vero motore di tanta “fortuna”.
Lì arrivano ricercatori, imprenditori e intellettuali da tutto il mondo, studiano ragazzi originari di 51 paesi (coreani e cinesi compresi), sei iscritti su dieci arrivano da lontano, nel Campus si tengono lezioni in tre lingue, ogni laureato è un ponte verso il mondo, arrivano sempre più imprese e investimenti stranieri per lavorare con altre aziende innovative e centri di ricerca all’avanguardia
Hanno puntato sulle nuove tecnologie ecologiche creando il Tis, la Libera università di Bolzano, e l’Accademia europea di ricerca Eurac: multinazionali come la svedese Sapa (alluminio per pannelli solari) o l’americana Memc (colosso dell’energia fotovoltaica) hanno aperto lì filiali e un proprio centro di ricerca per tutto il Sud Europa. Identità e innovazione di un cambio generazionale molto netto accolgono i turisti.
Che dire?
Mettere mano ad una inversione di tendenza per la quale, a fianco all’ingegneria del calcestruzzo, si investa su una “Ingegneria Naturalistica”, orientata a ridurre il rischio di erosione del terreno con interventi di consolidamento e di recupero – sia dell’edilizia residenziale che di quella pubblica, affinché le une e le altre diventino ecocompatibili e autonome nel consumo di energia e nel recupero delle acque. Quanto lavoro in un Paese come il nostro aggredito da quintali di cemento sotto il quale ogni giorno frana un pezzo in più.
Dunque, l’industria può vivere una nuova stagione proprio dalla prevenzione dei disastri e dal recupero dei danni ambientali, soprattutto ove si tiene a mente che oltre il 70% del territorio nazionale è a rischio idrogeologico!
Vediamo da vicino, a maglia larga, quali sono i settori di intervento nei quali la ”nuova industria dell’edilizia” può trovare altri sbocchi di mercato in casa propria, senza andare a competere con la Cina, il BRIC, l’Africa di domani e tutto il resto che le previsioni della competizione internazionale ci prefigurano.
Corsi d’acqua: consolidamento di sponde soggette ad erosione, rinaturalizzazione; coste marine e lacustri: consolidamento dei litorali soggetti ad erosione e assestamento delle dune sabbiose e dei versanti; infrastrutture viarie e ferroviarie: costruzione, consolidamento, ampliamento; realizzazione di barriere antirumore; cave: recupero ambientale di cave estrattive abbandonate; discariche: gestione dei rifiuti e riciclaggio; recupero del patrimonio edilizio finalizzato a rendere gli edifici autonomi nell’uso dell’acqua e dell’energia; recupero centri storici e periferie degradate per una fruizione quotidiana di verde, spazi pubblici, musei, punti di aggregazione; ricerca e sviluppo per le energie alternative e per le tecnologie del risparmio energetico (da affiancare alle risorse tradizionali dei combustibili) di cui vanno dotati tutti gli ambienti urbani ed edilizi.
I costi di realizzazione sono concorrenziali rispetto alle analoghe opere di ingegneria classica ed i costi per il ripristino ambientale del cantiere sono ridotti. Se poi si riflette sugli investimenti che necessariamente i singoli Governi dovranno stanziare per il recupero del territorio, è evidente che una nuova prospettiva di crescita c’è e, differentemente da quanto è accaduto per gli anni successivi al boom economico, cioè quelli della decrescita, impresa e società civile lavoreranno fianco a fianco con un obiettivo comune e condiviso. Manifestazioni di piazza e malcontento (la Tav, il Ponte sullo stretto…) che frenano un progresso discusso, discusso perché non percepito come progresso per tutti, risulterebbero sostituiti da sostegno e incoraggiamento, partecipazione e condivisione.
L’imprenditore non sarà più il ladruncolo dell’immaginario collettivo italiano.
Senza tanto parlare di impresa etica, formula ormai abusata quanto manipolata, si passerebbe ai fatti, quelli dell’impresa sociale cui è affidato il cambio di paradigma nell’organizzazione delle forme e delle finalità dei processi produttivi, orientata all’aggregazione della domanda (trasformazione dei rifiuti degli uni in consumi degli altri).
Il percorso è tutto da costruire, ma non da inventare perché da anni il confronto e il dibattito sono aperti, per ottenere di più con meno, per accrescere la produttività delle risorse naturali, per promuovere il benessere di tutti, o del maggior numero, riducendo lo sfruttamento e la devastazione dell’ambiente, unica fonte di “reddito rinnovabile”.