(A firma di Errico Centofanti, Coordinatore della candidatura dell’Aquila a Capitale) –
In uno straordinario romanzo utopistico dei primi anni dell’Ottocento, Platone in Italia, dovuto al brillante talento di Vincenzo Cuoco, c’è un’affermazione che incarna perfettamente lo spirito dell’iniziativa assunta per candidare L’Aquila a Capitale Europea della Cultura: «per esser felice nella sua patria e tra i suoi concittadini, è necessario poter fare il bene: l’uomo inutile ai suoi diventa in breve tempo noioso a se stesso, e infelice».
Infatti, l’occasione della Candidatura, in uno con il suo processo di avanzamento, tende in primo luogo a coinvolgere attivamente quanti piú cittadini sia possibile, affinché gli aquilani, in prima persona e tutti insieme, possano assaporare un po’ di felicità mediante l’impegnarsi a esprimere un’utilità per se stessi. Ci sono, ovviamente, molte altre cose di cui ha bisogno la comunità colpita dal tragico sisma del 2009, per il che, però, sono in campo altri soggetti istituzionali.
La Candidatura è una delle tante opportunità, un’opportunità che nulla sottrae a altri fronti d’iniziativa e che non v’è ragione di rinunciare a cogliere. È in base a questo ragionamento che l’Assessore alla Cultura, Stefania Pezzopane, ha mobilitato il sostegno del Sindaco Massimo Cialente, dell’intera Giunta e dei Capigruppo del Consiglio Comunale per avviare il processo di Candidatura.
L’iniziativa “Capitale Europea della Cultura”, istituita nel 1985 dal Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea, ha lo scopo di contribuire all’avvicinamento dei diversi popoli dell’UE e prevede l’assegnazione dell’iniziativa stessa, di regola, a due città ogni anno su proposta dei rispettivi governi nazionali.
Nel corso degli anni la manifestazione è cresciuta d’importanza ma senza perdere di vista l’obiettivo primario: valorizzare la ricchezza, la diversità delle culture europee e i loro tratti comuni, migliorare la conoscenza che i cittadini europei hanno gli uni degli altri, favorire la presa di coscienza dell’appartenenza alla comunità europea.
L’evento che ciascuna città realizza nel corso del suo anno da Capitale non è semplicemente un festival dalle inusitate proporzioni: costituisce, prima di tutto, la proposta e la dimostrazione di un modello avanzato e, possibilmente, innovativo di convivenza, accoglienza e creatività socio-culturale.
Per adesso, si tratta di difendere il nostro progetto davanti la giuria internazionale che entro il 2015 dovrà assegnare la vittoria a noi oppure a un’altra delle città italiane aspiranti alla conquista dell’anno da Capitale. Se usciremo vincenti dal complesso e difficile confronto con le altre città, allora sarà giunto il momento di preparare concretamente le iniziative con cui animare ogni giornata del 2019, che è l’anno destinato a vedere Capitale Europea della Cultura una città italiana. Quella sarà l’opera d’arte con cui noi possiamo mostrare il volto che la città sarà riuscita a darsi, anche grazie al doveroso sostegno dello Stato, a distanza di dieci anni dal nostro indelebile 6 Aprile.
Non per caso, il progetto preliminare su cui si va lavorando ipotizza come evento-simbolo per il 2019 l’esposizione di un capolavoro pittorico che nacque per la nostra città ma che dovrà essere chiesto in prestito al governo spagnolo: la Visitazione della Vergine, opera dipinta da Raffaello Sanzio intorno al 1515 per la Chiesa di San Silvestro dell’Aquila, ivi esistente fino al 1655, ora conservata nel Museo del Prado a Madrid. Non è solo il prestigio artistico dell’opera e del suo autore a motivare l’idea: c’è una duplice valenza di cui tener conto. In primo luogo, il soggetto dell’opera, il quale, essendo incentrato su una maternità in corso di fioritura, simboleggia la fioritura della rigenerazione della città.
E poi c’è la storia del quadro che, prima del definitivo approdo nel Museo del Prado, ha viaggiato per secoli attraverso l’Europa: trasparente metafora delle transumanze di popoli che hanno caratterizzato la storia europea, metafora dell’epopea migratoria che ha segnato il destino di milioni di italiani e di europei e che oggi segna quello delle moltitudini di migranti che all’Europa conferiscono nuova energia materiale e culturale.
D’altra parte, è l’intero lavoro di rifacimento di quell’opera d’arte multisecolare e multidisciplinare che è la nostra città a costituire a sua volta un’opera d’arte. Il restauro e la riqualificazione di quanto s’è salvato e le invenzioni da innestarvi, come già fecero i nostri antenati dopo le devastazioni sismiche del passato, mireranno di nuovo a fare della bellezza e della razionalità la cifra del nostro futuro.
La medesima ispirazione guiderà la creazione degli eventi d’arte che prepareranno, comporranno e proseguiranno il programma dell’anno da Capitale. Gli artisti coinvolti saranno chiamati a esprimere in ogni campo un serrato dialogo tra la perdurante vitalità di quanto ci viene dalle epoche trascorse e le piú avanzate manifestazioni di creatività del nostro tempo.
Ma, il lavoro in corso per la Candidatura e poi quello per l’auspicato anno da Capitale non può riguardare solo le realizzazioni e le espressioni artistiche. Quale surreale città sarebbe la nostra, se musica, teatro, pittura e quant’altro facessero bella mostra di sé, mentre d’intorno languissero le attività produttive, i servizi sociali, la serenità della convivenza? Una Capitale della Cultura degna d’esser tale ha il dovere d’interpretare la cultura come uno stato di benessere complessivo, culturale e sociale, per i propri cittadini. Infatti, «per esser felice nella sua patria e tra i suoi concittadini, è necessario poter fare il bene».