(A firma di S. Romano) –

Il referendum è uno strumento di esercizio della sovranità popolare, sancita dall’articolo 1 della Costituzione della Repubblica Italiana, e l’esito referendario è una fonte del diritto primaria che vincola i legislatori al rispetto della volontà del popolo.

Secondo legge potevano essere svolti tra il 15 aprile e il 15 giugno, ma i referendum abrogativi sono stati infine fissati per il 12 e 13 giugno, quindi senza unire il voto con le elezioni amministrative del 15–16 maggio.
Tale scelta è stata criticata quale enorme spreco di denaro pubblico (stima oltre 400 milioni di euro che potevano essere destinati ad altri settori in crisi come il lavoro, il welfare, la cultura…) e come tentativo di non far raggiungere il quorum ai referendum. Un tentativo di boicottaggio. Infatti se non andranno a votare il 50% + 1 degli aventi diritto i referendum non saranno validi.
L’election day, ossia l’accorpamento dei referendum con le amministrative non è passato per un voto, il radicale Marco Beltrandi, ha così salvato il Governo. Una decisione che denota chiusura al confronto ed una assoluta indifferenza alla possibilità che i cittadini siano messi nelle condizioni migliori per esercitare il loro diritto al voto.
I promotori dei quesiti referendari, nonostante il 1.400.000 firme raccolte per i quesiti (un risultato mai raggiunto prima), temono che i loro sforzi siano vanificati dalla scelta di un periodo in cui le scuole sono chiuse e l’inizio della stagione estiva sia un incentivo ad andare fuori.
D’altra parte è chiaro che i contrari, hanno spinto per non accorpare le date affinché i referendum non raggiungano i quorum e quindi il voto sia invalidato.
È evidente di come entrambi gli schieramenti vedano nell’assenteismo la vera “mina vagante” del voto referendario capace di far vincere o far perdere questo o l’altro schieramento.
Il voto rappresenta un’opportunità per un Paese di dimostrare che è veramente maturo e democratico.
L’istituto referendario è stato “svilito” negli ultimi anni dalla incapacità dei nostri governanti di governare. Ci hanno proposto tanti incomprensibili quesiti che hanno portato come unico risultato una disaffezione degli elettori a presentarsi alle urne.
Ma su grandi temi civici, come lo sono stati negli anni ‘70 i referendum sul divorzio e sull’aborto, ricorrere a tale mezzo è un senso di responsabilità e di democrazia.
Entrambi gli schieramenti dovrebbero confrontarsi e far valere le proprie ragioni con la dialettica e non con “sotterfugi tecnici”.
Non sappiamo chi ha più paura del voto, ma invitiamo tutti gli italiani a documentarsi, recarsi alle urne, qualunque sia la propria opinione, per dimostrare a tutti che non siamo “sudditi ignoranti” ma “Cittadini informati”.
Riassumendo, i quattro quesiti proposti riguardano: la privatizzazione dell’acqua con i primi due (si vota SI se non si è d’accordo, si vota NO se si è favorevoli), la produzione di energia nucleare (si vota SI se non si è d’accordo, si vota NO se si è favorevoli), eliminazione del legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri (si vota SI se non si è d’accordo, si vota NO se si è favorevoli).