(A firma di .) –

Una scelta poco liberale e poco dignitosa, quella del ddl quote rosa. Se non fossimo in Italia.
Ragione per la quale, stante il nostro mercato del lavoro decisamente ed oggettivamente ostile alle donne, la svolta va registrata con favore. Anzi, di più, auspichiamo che sia contaminante anche nei confronti delle società non quotate. È evidente che la necessità di una legge sta ad attestare l’esistenza di un problema.
La nuova disposizione, una delle prime in Europa a regolare la materia e da tradurre subito in legge, non è da poco: circa 400 imprese in pochi anni dovranno andare alla ricerca di un migliaio di donne-manager da inserire ai massimi livelli dell’organizzazione.
Ma non sarà la norma a decretare il modo in cui le donne occuperanno i posti loro riservati: facendosi carico del mandato morale di migliaia di azioniste senza quote cercheranno di non tradirne le aspettative, e forse per questa strada si potrebbe addivenire ad un sistema di acquisizione per merito che un giorno giunga fin dentro le istituzioni e la politica.
Un possibile cambiamento tangibile nella promozione dei talenti, dunque.
Che ben venga, seppur con una imposizione dall’alto e con tanto di sanzione per gli inadempienti. Il nostro è uno dei Paesi europei con il più basso tasso di occupazione femminile e la permanenza delle donne al lavoro conosce un drastico tracollo dopo la nascita del primo figlio, con evidenti ricadute sugli indici di natalità.
Metterci al passo con i Paesi del nord Europa è doveroso, ma necessita di riforme radicali che sostengano la famiglia e il tessuto sociale: provvedimenti isolati, da soli, possono essere destinati a portare scompensi e disfunzioni, rischiando così di risultare impopolari.
L’occasione è: innovare il vecchio cherchez la femme, perché la donna non sia il problema ma la risorsa.