(A firma di Giovanni Augello) –
Una buona organizzazione del non profit e un’attenzione alle modalità operative consente un impiego più efficace e quantitativamente più rilevante delle risorse che vengono donate per la missione che sta alla base della donazione”.
È questa, per Maria Guidotti, presidente dell’Istituto italiano donazione, la conclusione a cui è giunta l’Indagine sugli indici di efficienza delle organizzazioni associate all’Istituto italiano della donazione (Iid) presentata a Roma presso la Camera dei deputati in occasione del convegno “Indici di efficienza per il Terzo settore: verso un benchmark condiviso”. Per Guidotti, un valore aggiunto per le organizzazioni non profit è la trasparenza, un’occasione per “ricreare fiducia con il soggetto donatore, che sia il cittadino privato o l’impresa o il pubblico, con il risultato di maggiori risorse a disposizione ma anche efficienza e una maggiore capacità di conseguire gli obiettivi per cui si è costituita”. Diverse le segnalazioni e i suggerimenti avanzati dai partecipanti al convegno, quasi tutti addetti ai lavori, che verranno presi in considerazione per la stesura del prossimo studio. Tra le indicazioni proprio la necessità di far conoscere ai donatori non solo i bilanci delle organizzazioni, ma anche gli obiettivi raggiunti con i fondi donati. Secondo Giorgio Fiorentini, responsabile del settore Imprese sociali e aziende non profit dell’Istituto di Pubblica Amministrazione e Sanità e docente dell’università Bocconi di Milano, oggi non è immaginabile che le organizzazioni non facciano conoscere i risultati raggiunti. “Nel 2010 le relazioni comunicative e mediatiche sono importanti – ha affermato -, anche se bisogna stare attenti a che questo non diventi un discorso solo di forma. La donazione è un investimento fatto dai cittadini in quella che potremmo chiamare “la borsa della solidarietà”, e per questo si aspettano un ritorno sull’investimento stesso”. Un tempo le donazioni avevano risultati tangibili, ha aggiunto Fiorentini, come accadeva con le offerte nelle parrocchie. “Si acquistavano panche dove c’era scritto il nome del donatore – ha aggiunto – o si utilizzavano i fondi per rifare il tetto. Le persone che donano vogliono capire che cosa si è fatto dei propri quattrini”. Per questo, continua Fiorentini, il settore del fund raising deve avere gli strumenti adatti e una maggiore professionalizzazione.
“Considero le non profit delle imprese sociali: il volante, le ruote e il motore ci devono essere per tutte le automobili. Avremo delle caratteristiche diverse, ma se devo andare da un punto all’altro devo avere un motore, le ruote e il volante. È una condizione indispensabile anche per le organizzazioni non profit”.
Professionalizzazione necessaria anche per quanto riguarda il volontariato. Secondo l’indagine, infatti, il numero di volontari all’interno di una organizzazione non pesa a livello economico e strutturale fino a quando non ha numeri che superano i dipendenti dell’organizzazione stessa. Una situazione, questa che richiede un “volontariato sempre più qualificato”, anche per via degli ambiti di intervento. “In molti casi ormai – ha specificato -, le organizzazioni non profit fanno supplenza dello Stato in aree particolarmente critiche in cui c’è bisogno di un alto valore aggiunto di tipo professionale”.
Una professionalizzazione che deve essere presa in seria considerazione anche dalle aziende nel momento dell’assunzione dei giovani. “Negli Stati uniti e in Gran Bretagna – ha concluso Fiorentini – il volontariato è considerano importante quando devono essere inseriti all’interno delle imprese perché vuol dire che hanno determinate caratteristiche e valori. In Italia questo non è particolarmente soppesato.
Occorre far capire vicendevolmente sia ai giovani che alle aziende che tutto questo deve essere collegato al fatto della professionalizzazione”.