(A firma di Sandro Coletti) –

Storia di vita ordinaria, quella della signora Enza Ruisi, siciliana trasferitasi a L’Aquila nel lontano ’78 per lavoro e che nel capoluogo abruzzese ha costruito la propria esistenza: attività, famiglia, amici.
Una storia che alla luce dei tragici avvenimenti che hanno colpito l’aquilano si fa straordinaria: Enza, suo marito Roberto (unico aquilano del quartetto), sua sorella Rosy e relativo consorte Pino, sono dal 2005 i gestori di un noto locale aquilano, il bar Barbarossa e sono stati tra i primi a “tornare sulla breccia”, già 15 giorni dopo il fatidico 6 aprile, attrezzandosi in un gazebo fuori dal loro locale, che non ha subito fortunatamente danni a livello strutturale, ma “solo” nelle attrezzature del bar.
Facendo leva sul loro capitale umano, dando passione e anima, da lunedì 25 maggio, il Barbarossa ha riaperto a tutti gli effetti. “Questo – spiega Enza – vuole essere, oltre che il segno della nostra presenza attiva nella città, uno stimolo, verso colleghi e clienti, affinchè ci si faccia coraggio e si inizi il recupero della quotidianità, mai come ora così importante”.
Un segno profondo di rispetto ed amore per una città che, ci confessa celando la commozione dietro due lenti scure, sente come sua.
Già dall’ 87 infatti, Enza e soci avevano intrapreso l’attività di ristorazione a L’Aquila, aprendo la trattoria Fico d’India, specialità: cucina siciliana, soprattutto quei dolci che sono poi diventati il punto di forza del Barbarossa (cannoli, cassate).
Aiuti di tipo istituzionali finora non ne hanno ricevuti, ma si dicono fiduciosi, soprattutto ora che si vocifera che il capoluogo abruzzese diverrà zona franca: “Se così sarà, L’Aquila spiccherà il volo”, afferma emozionata Enza.
Il coraggio, o la semplice caparbietà, qualità, piace pensare, “ereditata” dal vivere nell'”Abruzzo forte e gentile”, mostrati da questi amici siciliani (a parte il marito dell’intervistata, aquilano d.o.c.) sono un cenno di futuro possibile nella confusione di un presente quasi ovattato, che come il caldo di questi giorni avvolge animi e tende.
Restare, tenere duro, senza cedere alla paura o al pensiero di andare, provare, chi può, a ricominciare da un’altra parte.
Non un semplice sostegno o esempio, perchè “L’Aquila ricominci a volare”, ma perchè si improvvisi Fenice, risorgendo dalle proprie ceneri… da sola.
Troppi ancora i dubbi su quanto, e con quali tempi e modi, si farà per una ricostruzione che non è e non può essere meramente architettonica.
Starà alla popolazione svolgere il compito più difficile, quello di conservare e recuperare la propria identità, perchè il tempo, al di là delle varie zone rosse, continua a scorrere normale; ognuno con le proprie abitudini, senza magari rendersi conto di quanto a queste si è affezionati.
Quello della riapertura di un bar, di un luogo di incontro, di confronto popolare, di svago, rappresenta quindi in questo contesto un breve, ma importante passo verso una “normalità” ora così rimpianta e lontana.

Quindi un caloroso “in bocca al lupo” agli amici del Bar Barbarossa e a tutti quanti coloro che, condividendo la medesima situazione, hanno deciso, scelto, di riconquistare la propria vita, la propria identità, magari con la speranza, quasi dissimulata per scaramanzia, che le promesse fatte vengano mantenute, da tutti.