(A firma di Emma Cerritelli e La ra Di Fabrizio) –

Trust, in inglese, significa fiducia. Ed è
proprio dall’esperienza anglosassone di
common law (sistema giuridico che si
differenzia dal nostro, in quanto riconosce
come fonte primaria del diritto la
giurisprudenza e non la legge) che deriva la
figura giuridica definita, appunto, trust.
L’istituto in esame è un negozio fiduciario
attraverso il quale il soggetto che costituisce
il trust, detto settlor, trasferisce ad altri
(trustee) i propri beni, nell’interesse di un
beneficiario (beneficiary) e per un fine
specifico. I beni del trust si distinguono da
quelli del trustee e non entrano a far parte del
suo patrimonio, anche se il trustee è
intestatario degli stessi, li gestisce, li
amministra e ne dispone secondo le
condizioni dell’atto costitutivo. Caratteristica
peculiare del trust è il rapporto che intercorre
tra il settlor ed il trustee, rapporto che risulta
incentrato su un patto di fiducia. Elementi
fondanti di tale istituto sono: il trasferimento
della proprietà dei beni in capo al trustee,
l’amministrazione degli stessi in maniera
diligente e volta ad avvantaggiare il
beneficiario e la “promessa” di trasferirne,
dopo un certo periodo, la proprietà al
beneficiario. Il trustee, dunque, viene
considerato vero proprietario del patrimonio
del settlor ma il rapporto di natura fiduciaria
gli impone di esercitare il suo diritto reale
comunque a beneficio di un’altra persona.
Tuttavia, potrebbe accadere che il trustee
non salvaguardi le aspettative del beneficiary
e agisca come se fosse esclusivo
proprietario dei beni, rifiutandosi un domani
di restituirli al beneficiario. Il sistema giuridico
inglese ha risolto il problema affiancando al
common law – per il quale , con non poco
formalismo, il trustee è ritenuto legittimo
proprietario (legal owner) – il rimedio
dell’equity (insieme di princìpi fondati sulla
coscienza e sulla morale), che considera,
invece, proprietario il beneficiary (equitable
owner) e sanziona le ipotesi di abuso del
diritto di proprietà da parte del trustee.

Se, da
un lato, dunque, il common law non può
negare che il trustee sia proprietario e che
quindi i suoi atti di alienazione siano validi ed
efficaci, dall’altro, sarà il sistema di equity a
considerare gli atti di trasferimento come
risultato di un comportamento illecito del
trustee, che si sostanzia in un vero e proprio
abuso del suo diritto. L’istituto appena
descritto ha trovato ingresso in Italia grazie
all’adesione del nostro paese alla
Convenzione dell’Aja (1985). Le ipotesi
applicative del trust possono essere varie:
destinazione di beni per finalità caritatevoli,
passaggi ereditari di beni ed aziende, tutela
del patrimonio, riservatezza nelle gestioni
finanziarie, protezione dei minori e dei
diversamente abili, vantaggi di natura fiscale.
Di particolare rilievo è il trust testamentario
che consente di costituire un trust a mezzo di
negozio testamentario (art. 2 Conv. Aja), al
fine di tutelare il patrimonio del de cuius in
favore dell’erede beneficiario, pur
salvaguardando i diritti dei legittimari. I beni
trasferiti al trustee, di conseguenza, non
entrano a far parte del suo patrimonio,
restando da questo separati, per cui essi non
sono aggredibili dai suoi creditori personali,
neppure in caso di fallimento, né fanno parte
del regime matrimoniale o della successione
dei beni. Il trust, quindi, si presenta come uno
strumento flessibile, grazie ai vantaggi
economici che con esso si possono ottenere
e alla mancanza di formalismi per la sua
costituzione. Per la prima volta il trust è stato
preso in considerazione nella finanziaria del
2007 a fini fiscali e tributari e sono molte
ormai le sentenze dei nostri tribunali che
riconoscono gli effetti del trust, pur essendo
un istituto ancora poco conosciuto, per
mancanza nel nostro ordinamento di
un’apposita normativa.