(A firma di Alberto Lucarelli) –
Il 18 novembre, mentre alla Camera dei Deputati si approvava, con l’ignobile ricorso alla fiducia, il decreto Ronchi, che all’art. 15 avvia un processo di dismissione della proprietà pubblica e delle relative infrastrutture, ovvero un percorso di smantellamento del ruolo del soggetto pubblico che non sembra avere eguali in Europa; nella Sala Nassirya di Palazzo Madama, Stefano Rodotà, presidente della Commissione per la riforma dei beni pubblici, presentava alla stampa il disegno di legge delega di riforma della disciplina codicistica dei beni comuni.
Potrei ancora aggiungere che la settimana precedente il Presidente della Regione Puglia Niki Vendola aveva nominato una commissione di studio con l’incarico di redigere un disegno di legge regionale per trasformare l’Acquedotto pugliese s.p.a. in ente pubblico regionale, affidandogli la gestione delle reti e del servizio idrico integrato.
Segnali contrastanti dunque e segnali di resistenza verso un governo che proseguendo nell’attività dei precedenti esecutivi, anche di centro-sinistra, ha in mente un progetto rozzo, ma chiaro: la svendita del patrimonio pubblico, la volontà di fare affari attraverso lo sfruttamento dei beni comuni, ovvero quei beni di appartenenza collettiva, tra i quali ovviamente spicca l’acqua. L’ultimo grande bottino, l’ultimo grande saccheggio.
Cosa resterà da vendere dopo il saccheggio dei beni comuni, se non le proprie coscienze?
Mentre il testo della Commissione Rodotà finalmente inizia il suo percorso legislativo, pur fra mille ostacoli e trabocchetti, con il chiaro e trasparente obiettivo di valorizzare le ricchezze pubbliche essenziali quali le risorse naturali, l’acqua, le grandi infrastrutture, i beni funzionali all’erogazione del welfare e la proprietà pubblica immateriale, il decreto Ronchi diventa legge collocando tutti i servizi pubblici essenziali locali sul mercato, sottoponendoli alle regole della concorrenza e del profitto, espropriando il soggetto pubblico e quindi i cittadini dei propri beni faticosamente realizzati negli anni sulla base della fiscalità generale.
Mentre Vendola, guardandosi intorno, ha visto come negli ultimi anni le gestioni private dell’acqua avessero determinato un aumento delle bollette del 61% ed una riduzione drastica degli investimenti per la modernizzazione degli acquedotti, della rete fognaria, degli impianti di depurazione, il governo e la sua maggioranza di peones approva una legge che, imponendo la svendita forzata del patrimonio pubblico e l’ingresso dei privati, alimenterà anche sacche di malaffare e fenomeni malavitosi facilmente riconducibili alla camorra, alla ndrangheta, alla mafia.
La malavita già da tempo ha compreso il grande business dei sevizi pubblici locali, si pensi alla gestione dei rifiuti, e la grande possibilità di gestirli in regime di monopolio.
La criminalità organizzata dispone di liquidità che come è noto ambiscono ad essere “ripulite” attraverso attività d’impresa.
Per chi conquisterà fette di mercato, l’affare è garantito. Infatti, trattandosi di monopoli naturali, l’esito della legge sarà quello di passare da monopoli-oligopoli pubblici a monopoli-oligopoli privati, assoggettando il servizio non più alle clausole di certezza dei servizi delineati dall’Unione Europea, ma alla copertura dei costi ed al raggiungimento del massimo dei profitti nel minor tempo possibile.
Le due grandi multinazionali Suez e Veolia sono pronte al grande ultimo assalto, si “leccano già i baffi”, ma anche per le utility di derivazione comunale oggi quotate a piazza Affari, il decreto Ronchi potrà rappresentare a danno dei cittadini, ma io aggiungerei dell’ambiente, della salute e non da ultimo dell’occupazione, una grande occasione da non perdere.
Francamente, viene da sorridere quando si leggono alcune affermazioni di c.d. “tecnici terzisti” , quali quelle espresse da Roberto Passino, attuale Presidente del Co.vi.ri. (commissione per la vigilanza delle risorse idriche) il quale, in merito all’acqua, al Sole 24 ore di giovedì 19 novembre, ha dichiarato che poca conta se il gestore sia una spa controllata dal pubblico o dal privato, conta che tutte le leggi confermino da anni l’acqua come bene pubblico, che gli impianti idrici sono tutti di proprietà pubblica, che l’organismo di controllo è pubblico e che la formazione delle tariffe è in mano pubbliche.
O chi parla vive sulla Luna, o le sue frasi sono impregnate di ipocrisia.
Sappiamo bene qual’e la debolezza dei controlli e la loro pressocchè inesistenza ad incidere sulla governance della società, sappiamo bene quanto è debole e ricattabile politicamente, e non solo, tutta la dimensione tecnocratica delle autorità di regolazione. Ma soprattutto sappiamo bene che il governo e il controllo pubblico diventano pressocché nulli nel momento in cui ci si trova dinanzi a forme giuridiche societarie di diritto privato, regolate dal diritto commerciale.
Si abbandonino dunque una volta per tutte queste ipocrisie che ruotano intorno alle false dicotomie pubblico-privato, proprietà-gestione e si affermi una volta per tutte che un bene è pubblico se è gestito da un soggetto pubblico nell’interesse esclusivo della collettività, e che gli eventuali utili devono essere rinvestiti nel servizio pubblico o eventualmente in altre attività dal forte impatto sociale, ricadenti nel territorio.
E allora diciamolo chiaramente le false liberalizzazioni determineranno una crescita dei prezzi delle commodities e dei beni e servizi annessi, così come un aumento dei prezzi finali dei servizi di pubblica utilità. Si configurerà un governo iniquo dei servizi pubblici essenziali, che inibirà la sua fruizione proprio a quella parte dei cittadini che ne avrebbe più bisogno. Una legge che colpisce al cuore dunque la nostra Costituzione ed in particolare i principi di eguaglianza e solidarietà.
E allora diciamolo senza falsi pudori, questa legge, attraverso la svendita di proprietà pubbliche, serve al governo “per far cassa”, serve al governo per compensare i comuni dei tagli di risorse delineati in finanziaria.
È veramente triste pensare che i grandi principi ispiratori della nostra Carta costituzionale, che avevano negli anni posto le basi e legittimato il governo pubblico dell’economia, secondo una logica ed una prospettiva di tutela effettiva dei diritti fondamentali, finiscano mortificati da parte di un manipolo di pseudo-politici che per far cassa e per favorire qualche gruppo industriale straniero ed italiano gioca a fare il liberista, introducendo al contrario posizioni di rendita che saranno poi molto difficili da sradicare.
Si riparta dunque dalla commissione Rodotà dal suo preciso obiettivo di governare i beni pubblici e i beni comuni nell’interesse dei diritti fondamentali della persona e soprattutto nel rispetto dei principi costituzionali.
Parta subito la raccolta di firme per un referendum abrogativo di tale saccheggio, di tale progetto delinquenziale, partano subito tutte quelle iniziative che possano portare ad una sentenza di illegittimità costituzionale.
Si porti la questione nelle aule del Parlamento Europeo, nella precisa consapevolezza che nenche la Tatcher aveva osato arrivare a tanto, nel disprezzo dello Stato, dei beni comuni, dei diritti dei cittadini.