(A firma di Michael Vitale) –

Se scriviamo su Wikipedia la parola Basilea, la famosa enciclopedia per internauti ci aprirà una pagina in cui troveremo la seguente frase:
“Situata nella Svizzera nord-occidentale, lungo un’ansa del Reno al confine con Francia e Germania, Basilea è un importante centro industriale del settore chimico e farmaceutico.
Costituisce l’ultimo porto fluviale accessibile alle navi di grandi dimensioni… “; altri ancora penseranno ad una famosa squadra svizzera che da anni milita nella prestigiosa Champions League; qualcuno forse penserà alla sede della UBS, famosa banca svizzera. Sicuramente però il motivo per cui questa città è costantemente presente su tutti i maggiori network mondiali che trattano di finanza è dipeso dal fatto che in questa piccola cittadina di 170.000 abitanti ha sede il comitato di Basilea sulla supervisione bancaria.
Qui sono stati sottoscritti gli accordi riguardanti i requisiti patrimoniali delle banche e le procedure per garantirne il rispetto. Gli accordi di Basilea sono stati sottoscritti per la prima volta nel 1988, ma furono successivamente modificati nel 2001, facendo così nascere quello che fu poi chiamato accordo di Basilea 2. Oggi, dopo la crisi mondiale, si è giunti a sottoscrivere l’accordo di Basilea 3, che in verità vedrà i suoi effetti a partire dal lontanissimo 2019. Questa sequela di accordi, che fa invidia ad una saga di film di fantascienza, ci permette di comprendere quante attenzione è posta sul patrimonio di una banca. Perché questo chiederete voi? Come mai una banca può avere problemi di denaro? Per rispondere a questo partiamo dalle basi.
La banca nasce per prendere denaro dai risparmiatori ed impiegarlo presso chi ne fa richiesta (generalmente le imprese). Nel momento in cui la banca concede il prestito utilizzerà soldi non suoi ma di risparmiatori che hanno un deposito presso l’istituto di credito. Come ci viene insegnato in un qualsiasi corso di finanza, prestare del denaro comporta sempre dei rischi. Questi rischi possono essere previsti per mezzo dell’applicazione di modelli ad hoc, che permettono di individuare la cosiddetta “probabilità di default”, cioè la probabilità che il prenditore di fondi, non ci ripaghi del prestito concessoli.
Questo ci consentirà di individuare la perdita che ci si attende, ma siamo proprio sicuri che questi modelli non sbaglino mai?
La risposta è semplice, ed è no! Per questo occorre fare un passo in più e calcolare la “perdita inattesa”.
Ora questo articolo non pretende di essere un articolo scientifico, quindi non mi addentrerò nell’analisi statistica dei modelli, l’intento di questo post è semplicemente di fornire al lettore una chiave di lettura di tutta questa serie di accordi che sembrano impegnare tanto i nostri ministri del tesoro.
I requisiti patrimoniali fungeranno proprio da estremo paracadute nel caso di perdite superiori a quelle attese. E’ evidente che un sistema come il nostro non può permettersi di avere istituti di credito non in grado di assorbire le eventuali perdite, perché questo creerebbe un affetto sistemico su tutto il contesto economico.
Gli accordi di Basilea 2 prevedevano che le banche considerassero tre tipologie di rischio: rischio di credito, operativo e di mercato. Il rischio di credito è quello su cui poggia la maggiore attenzione; intendiamo per il rischio di credito, il rischio derivante dalla probabilità che la controparte risulti insolvente all’interno dell’anno considerato. Ogni controparte ha una propria probabilità di default, la sommatoria di tutte le esposizioni ponderate per le probabilità (considerando anche un tasso di recupero atteso) ci da i cosiddetti “impieghi ponderati per il rischio”; di questi l’accordo prevede che il patrimonio della banca riesca a coprirne almeno l’8%.
Ma allora perché Basilea 3?
Quali cambiamenti?
Fondamentalmente la crisi, come ogni crisi che si rispetti, ha messo un punto interrogativo su tutte le certezze che fino a quel momento potevano esserci (basti pensare al fallimento delle agenzie di rating nel valutare le obbligazioni Lehmann), e non poteva essere da meno la normativa sulla vigilanza prudenziale del patrimonio bancario. Andiamo a vedere quelli che a mio avviso sembrano essere i paletti più significativi del nuovo accordo.
Fondamentalmente le novità introdotte riguardando il famoso TIER 1, cioè il patrimonio di base; esso si compone di capitale sociale e riserve (Core Tier 1) più i cosiddetti strumenti innovativi di capitale (che servono a garantirne la stabilità), il tutto a netto delle azioni proprie e delle immobilizzazioni immateriali.
Bene, il Tier 1 è stato portato al 6%, poiché si ritiene che più solido è questo requisito tanto più basso sarà il rischio di scarsa patrimonializzazione delle banche. Mentre il Core Tier 1 passerà da 3,5% a 4,5% delle attività ponderate per il rischio. Inoltre per ridurre la pro ciclicità di Basilea (cioè la circostanza per la quale, i cicli economici negativi vengono amplificati dall’applicazione di tali accordi), si introdurrà dal 2016 un “buffer”, cioè un cuscinetto che potrà gonfiarsi o sgonfiarsi a seconda delle situazioni cicliche, tale cuscinetto è previsto salire nel 2019 ad un valore del 2,5% delle attività ponderate per il rischio.
Infine si vorrebbe introdurre un indicatore del rischio di liquidità, cosa non ancora posta in essere ma che potrebbe essere fondamentale in quanto la crisi ha avuto luogo proprio per una mancanza di liquidità (vedi Northern Rock).
Per concludere possiamo dire che questa lunga sequela di accordi servono per dare sempre maggiore stabilità al mondo bancario, che ricordiamo essere l’ago della bilancia dello sviluppo di un Paese, poiché finanzia l’industria dei territori e raccoglie i risparmi dei lavoratori. Aver posto vincoli più stringenti serve soprattutto per dare un segnale chiaro e forte alle banche, alle aziende, ai risparmiatori e al mondo intero:
NOI CI SIAMO E CONTROLLIAMO!

Tratto da http://economia.iobloggo.com