(A firma di di Valeria Talbot, Research Fellow ISPI) –
Il 13 luglio di due anni fa veniva inaugurata a Parigi l’Unione per il Mediterraneo (UpM). L’iniziativa su cui erano state poste le attese di rilancio della titubante cooperazione euro-mediterranea ha tuttavia stentato a decollare e oggi si trova in un’impasse difficile da superare nelle attuali condizioni di deterioramento dello scenario mediorientale. Infatti, così come il Partenariato euro-mediterraneo anche, l’UpM è rimasta ostaggio del conflitto israelo-palestinese. Nel 2009 i governi arabi hanno bloccato la nascente struttura per protestare contro l’attacco israeliano a Gaza di dicembre 2008 e successivamente la formazione del governo guidato da Benjamin Netanyahu non ha favorito il dialogo tra arabi e israeliani. A inizio 2010 l’insediamento del segretario generale dell’UpM, il giordano Ahmed Massadeh, ha dato l’impressione che il processo si fosse finalmente sbloccato.
Ma è bastato un disaccordo sulla definizione dei Territori palestinesi occupati – gli israeliani avrebbero voluto inserire la dicitura “Territori sotto occupazione” – alla Conferenza euro-mediterranea sull’acqua dello scorso aprile per far riemergere i contrasti tra arabi e israeliani e mettere nuovamente in crisi l’UpM con il rinvio a novembre del secondo vertice, previsto per inizio giugno, per timore di un boicottaggio da parte dei paesi arabi. Se il focus su progetti in specifici settori tecnico-economici (disinquinamento del Mediterraneo, autostrade del mare, autostrada del Maghreb, ferrovia trans-maghrebina, Piano solare mediterraneo, promozione delle piccole e medie imprese) sembrava l’approccio migliore e più funzionale per fare avanzare la cooperazione – rafforzata o a geometria variabile – tra i paesi dell’Ue e i partner mediterranei, scindere il piano economico da quello politico è risultato irrealistico. Finché il conflitto israelo-palestinese non avrà soluzione ogni iniziativa di cooperazione regionale, sia essa a guida europea come il Processo di Barcellona o a carattere intergovernativo come l’UpM, sembra destinata al fallimento. Purtroppo di fronte a questa crisi l’Unione europea è disarmata.
Sebbene sia uno dei principali fornitori di assistenza finanziaria dei palestinesi e un partner economico di rilievo per Israele, sul piano politico l’Ue non è in grado di agire in maniera efficace e credibile.
L’esito positivo dei negoziati indiretti avviati a maggio tra israeliani e palestinesi è legato infatti in larga misura dagli sforzi di mediazione degli Stati Uniti. Paradossalmente quindi il futuro dell’UpM sembra essere più nelle mani di Washington che di Bruxelles o dei governi europei. Nel caso in cui i negoziati indiretti sfociassero in negoziati diretti alla fine dell’estate, l’UpM avrebbe buone possibilità di ripartire. Ma ci si chiede che solidità possa avere una struttura di cooperazione euro-mediterranea soggetta all’alta volatilità dello scenario mediorientale. Più realisticamente, soprattutto alla luce dei recenti sviluppi regionali – attacco israeliano alla flottiglia umanitaria diretta a Gaza e deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele – la ripresa di un processo di pace appare poco probabile e di conseguenza ciò mette una grossa ipoteca sullo svolgimento del vertice di novembre e in generale sull’UpM. Vista la rilevanza dei settori di cooperazione su cui l’UpM si focalizza, invece di continuare a spendere energie su un’iniziativa che rischia di rimanere una scatola vuota e dal futuro incerto, non sarebbe meglio concentrarsi – al di fuori di strutture istituzionali regionali – sui singoli progetti a cui i paesi euro-mediterranei aderiscono sulla base di interessi economici condivisi?