(A firma di .) –
La crisi in Grecia ha fatto un nuovo
passo verso il baratro, e con essa la crisi
dell’eurozona.
Se non interverrà un fatto
radicalmente nuovo sarà impossibile
impedire il fallimento di Atene e, di
conseguenza, l’implosione della moneta
unica e della stessa Unione europea. Le
conseguenze sarebbero drammatiche
non solo sul piano economico e politico
in Europa, ma anche per le ripercussioni
sull’ordine economico-monetario e
politico-strategico mondiale.
I fatti sono evidenti.
La società greca
non è più in grado di sopportare i
provvedimenti necessari per cercare di
arrestare la corsa rovinosa verso la
bancarotta.
Nel contesto attuale, che non lascia prevedere credibili prospettive di crescita e di solidarietà politica, questi provvedimenti non
funzionano, pesano sempre di più solo
sulla parte già più penalizzata della
popolazione, e inevitabilmente vengono
vissuti come imposti dall’esterno (la
Germania, la BCE, l’Unione europea, il
FMI).
La drammaticità della situazione a
sua volta alimenta disperazione e
irrazionalità, insieme alla ricerca di capri
espiatori. In queste condizioni qualsiasi
scelta irrazionale diventa possibile,
anzi, probabile, e si innesca un
meccanismo di cui si può perdere il
controllo.
Per questo, il ritorno alla
dracma, che l’80% dei cittadini greci non
vuole, è diventato possibile, nonostante
tutti sappiano che le conseguenze
sarebbero così catastrofiche da dover
essere assolutamente scongiurate.
E’ giunto il momento di riconoscere che
l’Unione europea è arrivata ad un vicolo
cieco.
E’ la sua intera struttura istituzionale che
non consente un governo della moneta,
dell’economia, della fiscalità, della
politica estera ad essere inadeguata.
Per arrestare la valanga, l’Europa deve
saper dare un segnale di forte e concreta
unità e solidarietà.
Ma la solidarietà
esige l’unità politica, che oggi è possibile
solo tra i paesi dell’area dell’euro.
E’ dunque tempo di fare un salto di
qualità nell’affrontare la crisi.
La Grecia
mostra che tagli e tasse soffocano
l’economia e il debito, invece di scendere, è salito.
Pertanto è necessario inquadrare, subito, in un patto politico, sia il patto sul necessario risanamento dei conti degli Stati –
ricordando che l’era dello sviluppo a
debito, sulle spalle del resto del mondo,
è definitivamente tramontata per gli europei – sia il lancio di un improcrastinabile patto per lo sviluppo
sostenibile.
E’ l’ora della scelta, per i governi, per i
parlamentari europei e le forze politiche,
per il nostro paese.
Spetta ai governi dell’eurozona assumersi la responsabilità dell’iniziativa politica su questo terreno.
Spetta ai parlamentari europei, e in
primo luogo a quelli che rappresentano i
cittadini dell’eurozona, promuovere
delle assise interparlamentari, aperte ai
rappresentanti dei Parlamenti nazionali,
che elaborino un progetto di revisione
dei Trattati europei nella prospettiva
della realizzazione della federazione
nell’Unione.
Spetta all’Italia, al suo governo ed alla
sua classe politica, giocare quel ruolo di
pressione e stimolo federalista che
hanno spesso svolto con successo in
passato nei confronti degli altri paesi ed
in particolare di Francia e Germania,
affinché non si perda di vista la necessità
di trasferire a livello sovranazionale la
sovranità in campi cruciali e decisivi per
governare i problemi di fronte ai quali ci
troviamo.
Spetta ai federalisti suscitare un forte
movimento dal basso a sostegno di un
piano europeo di sviluppo sostenibile
che mobiliti tutte le forze del progresso
tramite una Iniziativa dei cittadini
europei. Senza questo elemento, è
difficile che i governi rinuncino a parte
della sovranità fiscale e attribuiscano
all’UE le risorse necessarie a finanziare
lo sviluppo.
Questa è la sola via per riconciliare i
cittadini con il progetto europeo e
perseguire obiettivi più avanzati di
trasformazione in senso federale dell’UE