(A firma di Luca Bergamotto, Professore, diretto collaboratore Pres. Consiglio Ministri) –
Nonostante i timidi segnali di ripresa delle attività produttive evidenziati dallo studio del CRESA, l’Abruzzo continua ad allontanarsi dalle aree più dinamiche del Nord del paese ed a mantenersi su livelli appena superiori a quelli delle regioni del Mezzogiorno.
Tant’è che la comparazione dei dati del 2010 con quelli degli anni precedenti, disegna una curva che pare consolidare una tendenza costante, a conferma delle diverse velocità di cui soffre endemicamente e, forse irreversibilmente, la crescita economica del paese tra il nord ed il sud.
La collocazione dell’Abruzzo in una posizione mediana nella comparazione con le altre Regioni italiane, trova la prima conferma nel valore del PIL che cresce dello 0,7% rispetto all’1,3% di quello nazionale.
Concorrono alla determinazione della percentuale di crescita diverse e contrastanti dinamiche: la contrazione dei consumi pubblici (-0,6%) che benevolmente il CRESA imputa alle “politiche di bilancio restrittive” e quella dei consumi privati, “improntati alla cautela, risentendo della debolezza del reddito disponibile e delle prospettive occupazionali incerte”.
A loro volta, diversi sono i contributi e le chiavi di lettura che offrono le singole province nel contesto regionale: bene Chieti, decisamente male Teramo, in equilibrio Pescara e L’Aquila, quest’ultima con una specificità che è anche una sorta di paradosso, quello di un settore, le costruzioni, con risultati negativi laddove invece ci si attenderebbe un apporto ben diverso in funzione della ricostruzione post-sisma, nonché per l’incremento del numero delle imprese attive nell’edilizia come risultante dalla ricerca delle Camere di Commercio (+ 7,5%).
Sul fronte delle imprese la boccata d’ossigeno viene dai flussi delle esportazioni che si attestano su un positivo 20%, che se da un lato consente la ripresa del fatturato aziendale pesantemente penalizzato dal meno 31,4% dell’anno precedente, dall’altro non produce effetti benefici sui livelli occupazionali.
Notizie confortanti, in linea con quelle nazionali, provengono invece dalla struttura societaria delle imprese, dove affianco alla nota prevalenza delle ditte individuali (70,2% del totale), si colgono visibili segnali di “rafforzamento della struttura imprenditoriale, ovvero all’incremento del numero di imprese con forma più robusta”.
Nello specifico dei vari settori produttivi le sorprese non mancano.
In positivo spicca il dato relativo all’artigianato, la cui performance è addirittura di rilievo nazionale con un più 2,5%, sebbene nella composizione del dato l’edilizia incida solo per il 6,2% e la parte più consistente è attribuibile alla sanità con un 20%.
Da notare come la provincia aquilana incida positivamente sul dato aggregato regionale dell’artigianato per un 31,4%.
Gli altri settori mostrano tutti segnali di affaticamento, che si esprime nelle manifatture con ridotti livelli di crescita (+0,6%), oppure con saldi negativi tra importazione ed esportazione nel comparto agricolo nonostante gli elevati indici di produttività del Fucino.
Da sottolineare, sempre in provincia dell’Aquila il tracollo dell’immobiliare con un meno 50% che certifica le recenti preoccupanti analisi dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica), sul futuro andamento del mercato immobiliare del Comune di L’Aquila.
Sempre nella provincia aquilana possono esser considerate fisiologiche nella loro negatività, per i noti motivi legali alle rilocalizzazione post-sisma ed alla gestione della emergenza sfollati, rispettivamente le percentuali di calo degli esercizi commerciali al dettaglio di un 2,8% ed il calo delle presenze turistiche del 6,8%.
Altro fondamentale aspetto dello studio del CRESA è legato ai livelli occupazionali che offrono interessanti spunti di riflessione oltre quelli dimensionali del fenomeno, soprattutto se correlati all’età e alla differenza di genere.
Se il dato percentuale sul tasso di disoccupazione è passato dall’ 8,1% dell’anno precedente al 8,8% del 2010, quantificabile in mille posti di lavoro in meno, l’aspetto che desta qualche preoccupazione è anche in questo caso la differenza con le regioni del nord, rispetto alle quali il divario del tasso di attività presenta una forbice di 17 punti.
Questo dato statistico, spesso sottovalutato dagli analisti economici, trova invece la giusta centralità nell’analisi del CRESA, poiché consente di comprendere l’evoluzione del tasso complessivo in funzione dell’evolversi della struttura demografica della popolazione, dunque delle classi di età e dovrebbe consentire l’individuazione di appropriate misure nelle politiche di indirizzo e di sostegno all’occupazione da parte delle autorità.
Preoccupanti gli incrementi della disoccupazione giovanile che in un solo anno è passata da 19,7 a ben 29,5 punti percentuali, con più difficoltà per le donne sia nelle fasce più giovani di età che nella generalità dei dati rappresentati; unica eccezione quella di L’Aquila dove l’aumento in controtendenza del tasso di occupazione (più 3%) è stato assorbito quasi per intero dalla componente femminile.
Completano le analisi del CRESA i capitoli dedicati all’andamento demografico, alle attività sportive ed alla distribuzione e disponibilità delle risorse idriche, tema quest’ultimo molto sentito dagli abruzzesi visto l’andamento del recente referendum sull’argomento, nonché gli approfondimenti tematici dei Professori Landini e Mauro e dell’Architetto Properzi rispettivamente sulla regionalizzazione amministrativa dall’Unità d’Italia, sulla correlazione tra occupazione femminile e crescita economica e sulla ricostruzione del Capoluogo abruzzese.
Dalla lettura di ECONOMIA E SOCIETA’ IN ABRUZZO – 2010, rimane la sensazione amara di una terra dalle grandi potenzialità che senza uno scatto d’orgoglio rischia di perdere definitivamente lo slancio che le aveva consentito, nella seconda metà del ‘900, di agganciare la crescita economica generale del paese, assomigliandola ad una figlia virtuosa del nord produttivo.
Quale debbano essere le componenti macroeconomiche dello sviluppo economico credo non sfugga a nessuno, investimenti infrastrutturali e sostegno alla innovazione innanzitutto, tuttavia ritengo sia propedeutico abbandonare, perché superate nei fatti ed usate come alibi dalla classe dirigente, le tradizionali chiavi di lettura interpretative di una crisi ormai permanente, ovvero il dualismo territoriale aree interne – zona costiera, recuperando a dignità programmatoria unitaria gli strumenti normativi di cui la Regione Abruzzo dispone, oggi ridotti a meri adempimenti burocratici.
Se così fosse sarebbe difficile comprendere perché il più grande cantiere d’Europa, L’Aquila, non riesca oggi ad assumere il ruolo di volano della crescita di una regione territorialmente e demograficamente piccola come l’Abruzzo.