(A firma di Emma Cerritelli e Lara Di Fabrizio, avvocati titolari del punto di Chieti) –
Le mura domestiche, in alcuni casi, rappresentano il luogo meno sicuro in cui vivere perché c’è chi abusa di noi e della nostra tolleranza anche solo con molestie psicologiche. Da qualche tempo però non manca un valido strumento per difendersi grazie ad una legge entrata in vigore nel 2001 (L. 154/2001 introduttiva degli artt. 342 bis, 342 ter C.C., 736 bis C.P.C. e 282 bis C.P.P.). Prima di questo intervento legislativo chi era vittima di una violenza, oltre che fisica anche solo morale (pressioni psicologiche, minacce, etc.), preferiva subire in silenzio, per non prendere decisioni estreme ed a volte irreversibili, come il divorzio o la denuncia penale. Con la L. 154/2001 si è trovata una soluzione più semplice e meno traumatica che consente alla vittima degli abusi di ottenere dal giudice, in via provvisoria, i c.d. ordini di protezione, come l’allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente molesto e l’intervento dei servizi sociali del territorio. Solo in un secondo momento la persona offesa potrà scegliere di proseguire il rapporto familiare, chiedere la separazione o addirittura, in casi estremi, avviare un procedimento penale. Il giudice, infatti, può disporre un provvedimento di allontanamento dalla casa familiare, anche quando il fatto non costituisce reato, ma da esso derivi, comunque, una situazione di grave pregiudizio. Il tribunale interviene solo nei casi di effettiva necessità ed urgenza, visto lo scopo preventivo della legge; dunque non è sufficiente una semplice “scaramuccia“ con il partner ma è necessario dimostrare che esiste una situazione di notevole disagio, se non proprio di pericolo. La normativa contempla i casi di violenza che si verificano tra coniugi o tra componenti qualsiasi di uno stesso nucleo familiare pur non uniti da vincoli giuridici (conviventi).
È una delle poche norme, quindi, che tutela la c.d. famiglia di fatto. L’istituto in esame disciplina, nel medesimo contesto della violenza (fisica e/o morale), le misure cautelari adottate in sede penale (ovvero in pendenza di un procedimento penale) e quelle previste (c.d. ordini di protezione) in campo civile. La procedura per l’ applicazione degli strumenti cautelari penali consta di vari passaggi:
A) il giudice, su richiesta del PM , nel corso delle indagini preliminari o del dibattimento, può ordinare nei confronti dell’indagato-imputato, “in caso di necessità o di urgenza”, l’allontanamento dalla casa familiare del convivente per un certo periodo di tempo (sei mesi) (art. 282 bis c.p.p.);
B) ravvisando la sussistenza di specifiche esigenze di tutela, il giudice può prescrivere provvedimenti accessori quali il divieto di avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti;
C) inoltre, su richiesta del PM, l’autorità giudiziaria può anche ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura disposta, rimangono privi di mezzi adeguati.
I provvedimenti contemplati nei punti A e B non sono particolarmente innovativi, in quanto nel codice di procedura penale erano già previsti il divieto e l’obbligo di dimora. Dunque, la vera novità della riforma è costituita dal fatto di poter estendere la tutela cautelare prevista in sede penale (di cui la più importante è senza dubbio l’ordine di allontanamento dalla casa familiare) anche in campo civile, evitando così di perseguire penalmente il soggetto che assume un comportamento pregiudizievole.
Per la concessione dell’ ordine di protezione il giudice dovrà riscontrare che “la condotta del coniuge o di altro convivente sia causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente” (342 bis C.C.).
La procedura è disciplinata dall’art. 736 bis c.p.c. La parte, anche personalmente, cioè senza l’assistenza di un avvocato, può proporre ricorso al Tribunale del proprio luogo di residenza o domicilio. Gli atti ed i provvedimenti sono esenti da ogni imposta e tassa. Il ricorso deve essere documentato con l’allegazione di eventuali querele già proposte, referti medici e dichiarazione reddituale delle parti, nonché con l’indicazione di informatori che possano riferire sulle circostanze e che la parte potrà far intervenire il giorno stesso dell’ udienza. Il giudice adito ascolterà il ricorrente, il resistente (ma non è escluso che in casi di necessità, venga emesso il provvedimento cautelareinaudita altera parte, cioè senza che venga ascoltato
“il molestatore”
) e gli eventuali informatori in Camera di Consiglio ed emetterà il provvedimento. I tempi per ottenere tale tutela sono, dunque, molto brevi. La durata dell’ordine di protezione è di sei mesi, ma può essere prorogata solo per gravi motivi.