(A firma di Luisa Stifani) –
L’allarme per rischi di recessione e di
contrazione degli utili non si è ancora
esaurito. Nello scenario macro non è
cambiato molto, rimangono in essere gli
shock. Prudenza su ogni asset, la volatilità
resta molto alta, p er affrontare la crisi serve
cooperazione e condivisione, bisogna
mettere in campo azioni comuni, rafforzare
le procedure di cooperazione .
Ne parliamo con Rinaldo Tordera, Direttore
Generale della Cassa di Risparmio della
Provincia dell’Aquila.
Lo “tsunami subprime”, dopo il
fallimento della banca d’affari Lehman &
Brothers, il salvataggio del governo USA del colosso assicurativo Aig, arriva anche in Europa ed affonda le prime banche. Il sistema bancario europeo ce la farà a fronteggiare l’urto in modoadeguato?
È ciò che tutti si chiedono dopo che, con le
nazionalizzazioni annunciate del gruppo
bancario belga-olandese Fortis e della più
piccola delle banche di credito ipotecario
britanniche Bradford & Bingley, sembra
certo che la crisi finanziaria made in USA
abbia raggiunto le coste al di qua
dell’Atlantico, minando la stabilità di alcuni
colossi bancari maggiormente implicati nelle
scellerate manovre legate ai mutui
immobiliari.
La crisi a questo punto non è più solo un
problema degli Stati Uniti, ma un problema
globale.
La situazione delle banche dell’area Euro è
fino a questo momento migliore di quella cui
stiamo assistendo negli Stati Uniti. Finora la
situazione del capitale dell’insieme delle
banche europee rimane solida. Per
affrontare le crisi finanziarie serve però una
forte cooperazione e la condivisione delle
informazioni tra le autorità sia nazionali sia
trasfrontaliere.
“Vogliamo che da questa crisi esca un
mondo nuovo“, questo è l’ambizioso
proclama del presidente di turno della Ue
Nicolas Sarkozy al G4 di Parigi ma forse è
più un augurio visto che i governanti si
troveranno a dover affrontare un test severo
tra nuovi salvataggi bancari, la recessione e
(presto) un summit mondiale sull’emergenza
economica.
Negli Stati Uniti il Congresso ha approvato il piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari. L’opinione pubblica americana è rassicurata?
No, al contrario è disorientata e insospettita
perché il sistema creditizio rimane bloccato.
Perché si assiste all’Europa che va in
recessione, all’America Latina che
traballa e alla Cina che rallenta al punto da far intervenire in senso espansivo la
Banca Centrale Cinese anche se il tasso
di crescita è ancora elevato?
La zona dell’euro è in recessione, la prima
della sua giovane storia. Dopo la crescita
negativa del secondo trimestre, tutti i segnali
indicano che il terzo trimestre non è andato
meglio. È il prezzo che paghiamo alla corsa
del petrolio e delle altre materie prime, alla
crisi del settore immobiliare, al crollo della
montagna di debiti sui quali è stata costruita
la iperfinanziarizzazione dell’economia.
È il momento in cui esplode il doppio
contagio, quello geografico, con l’allargarsi a
macchia d’olio della crisi finanziaria nata in
America e quello verticale, con il
coinvolgimento anche dell’economia reale.
L’Europa lo sta prendendo in pieno e la
parolina magica, ‘decoupling’
(sganciamento), che veniva così spesso
pronunciata qualche mese fa, non la usa più
nessuno. Era il ‘mantra’ (parola magica) di
chi prometteva che le strade si sarebbero
divise, con l’America che finiva in recessione
e l’Europa che avrebbe continuato a
camminare. Non è andata così. Le banche
non si prestano i soldi tra di loro perché non
si fidano, e questa difficoltà nella
circolazione del denaro ha a sua volta due
effetti: il primo è che il costo del denaro
aumenta e il secondo è che le banche,
temendo di non riuscire ad approvvigionarsi
sull’interbancario, tendono ad avere livelli
molto elevati di liquidità per far fronte alle
proprie scadenze. Quindi gira meno denaro.
La sostanza è che il denaro non circola e chi
ne ha tende a tenerlo in tasca per le
evenienze future. La conseguenza è che si
fermano gli investimenti e si riducono i costi,
non si lavora per la crescita ma per lasopravvivenza. È la famosa ‘nottata’ che non
sappiamo quando
passerà.
La crisi finanziaria si avverte anche in America Latina.
Una delle paure maggiori, in realtà, riguarda la possibilità di un rallentamento dell’economia globale che si accompagni a un declino dei prezzi delle materie prime.
Anche le due principali banche centrali
dell’Asia, quella di Tokyo e quella di Pechino,
hanno deciso interventi d’emergenza per
fronteggiare l’impatto del crac finanziario di
Wall Street. A Pechino l’intervento della
banca centrale si è tradotto in una vistosa
sterzata della politica monetaria: per la prima
volta da oltre sei anni è stato abbassato il
tasso di sconto ufficiale, dello 0,27%, a quota
7,2%. Sempre nel segno dell’allentamento
della politica monetaria, la Banca Popolare
della Cina (nome ufficiale della banca
centrale) ha ridotto di un punto percentuale
la riserva obbligatoria per le piccole banche
nazionali, abbassandola al 16,5%. È la
prima volta che la riserva obbligatoria viene
ridotta dal 1999. Anche se il provvedimento
non è stato esteso alle banche maggiori né
alla Posta, esso si traduce comunque in una
maggiore disponibilità di credito per il
sistema. Questa manovra espansiva segna
una chiara inversione di tendenza rispetto
agli ultimi anni, in cui la priorità per la banca
centrale cinese era lottare contro l’inflazione
e raffreddare una crescita economica
eccessiva. La crisi americana ha costretto
anche le autorità cinesi a rivedere
drasticamente lo scenario: ora è il rallentamento della crescita mondiale, con i suoi effetti deflazionistici, il pericolo numero uno.
La crisi più grave e più incerta di tutti i
tempi, sembra di essere su una scialuppa
di salvataggio dove la terra sembra lontana. I risparmiatori italiani possono
stare tranquilli? Cosa devono fare inquesto momento?
La “fuga verso la sicurezza” che
caratterizza il comportamento degli
investitori mondiali sta penalizzando tutti i
mercati.
Le Borse
soffrono
perdite
rilevanti. La
disaffezione
dai mercati
colpisce sia i
mercati
tradizionali
sia quelli che
sono legati
alle materie
prime che
quindi soffrono
per la caduta delle quotazioni dell’energia,
dei metalli, delle derrate agricole. Che fare?
Se il risparmiatore ha comprato titoli “buoni”,
ha calibrato le sue scelte di investimento ai
suoi obiettivi e alla sua propensione al
rischio non deve fare altro che stare fermo. Il
problema è uno solo “chi garantisce che cosa”.
I titoli di Stato rimangono la forma di
investimento teoricamente più sicura ma
anche i conti correnti e i depositi bancari
godono di una consistente copertura (fino a
103,291,38 euro , i vecchi 200 milioni di lire),
quella del Fondo Interbancario di Tutela dei
depositi.
In qualità di economista e dirigente,
onesto e corretto, qual è la ricetta peruscire da questa crisi economica?
“Per uscire dalla crisi internazionale
servono nuove regole e un aumento di
fiducia”, questa è la ricetta del ministro
dell’Economia Tremonti, alla quale
aggiungerei la trasparenza, che è mancata
nella questione “subprime”, indispensabile
per combattere la speculazione. La crisi
durerà finché tutto il sistema finanziario
(banche ed istituzioni) non avranno
completato tutto il ciclo: o muoiono e sono
seppellite (Lehman) o confessano e
ripuliscono i conti per poter ripartire (UBS).